Dagli
agricoltori ai consumatori, dagli ambientalisti ai ricercatori.
39
associazioni si sono mobilitate il 5 aprile in numerose piazze
italiane, in attesa di una
sentenza che può cambiare oltre al cibo e
all'ambiente anche la nostra economia.
Il prossimo 9 aprile, infatti,
il Tar del Lazio si pronuncerà sul ricorso presentato da un
agricoltore friulano contro il decreto interministeriale che
proibisce la semina di mais Mon-810.
Se il ricorso fosse accolto, si
rischia di aprire la strada alle colture geneticamente modificate.
La
Regione Friuli ha emanato in questi giorni un regolamento che vieta
la semina e la coltivazione di Ogm sul suo territorio.
Paradossalmente, quindi, l'agricoltore che ha fatto ricorso si
troverebbe nell'impossibilità di effettuare la semina transgenica,
anche nel caso il Tar gli desse ragione.
Altre
Regioni potrebbero seguirlo in breve tempo, e inoltre - in caso di
successo del ricorso - le associazioni della Task Force "Per
un'Italia libera da Ogm" (da Coldiretti a Greenpeace, da Slow
Food al Fai) potrebbero fare ricorso al Consiglio di Stato.
Si
tratta di palliativi: occorre una politica coerente con le vocazioni
culturali ed economiche del Paese, di valorizzazione delle nostre
qualità, della nostra bellezza e delle nostre capacità.
Un
segnale lo ha dato il ministro delle Politiche Agricole Martina che
ha concordato la possibilità, con i colleghi Beatrice Lorenzin,
Ministro della Salute, e Gian Luca Galletti, Ministro dell'Ambiente,
di
un intervento comune per impedire eventuali coltivazioni qualora
la sentenza annullasse il decreto in essere.
La
partita vera e propria si sposta però poi a Bruxelles dove l'Europa
deve legiferare per evitare che si creino questi buchi nella
legislazione nazionale dei singoli Paesi e vedremo se l'Italia che
assumerà la presidenza dell'Unione a giugno vorrà prendere
l'iniziativa in questo senso, come ha promesso ieri il ministro
Galletti.
L'esperienza
degli Stati Uniti
A
indicare come la strada delle coltivazioni transgeniche sia una
scelta senza ritorno per l'agricoltura, è proprio la testimonianza
che proviene dai Paesi che hanno scelto l'agricoltura Ogm. Negli
Stati Uniti, dove il 73 per cento dei semi è stato geneticamente
modificato per tollerare gli erbicidi,
gli agricoltori non riescono a
uscire dal circolo vizioso in cui sono finiti. Chi ha acquistato
sementi brevettate deve per contratto continuare a farlo per un
periodo determinato.
Così, negli Stati Uniti, la Monsanto ha già
fatto causa a numerosi agricoltori per violazione contrattuale.
Il
problema non consiste solo nell'impossibilità per gli agricoltori di
conservare i semi e riseminarli l'anno successivo, ma anche nei
costi
sempre crescenti delle sementi Ogm e, come già accade in alcune
zone, nella mancanza di disponibilità di varietà non modificate.
"Lo
stesso Dipartimento di Stato Usa - ha detto
Wes Shoemyer, agricoltore
statunitense - ha verificato un impatto negativo sui redditi degli
agricoltori che hanno seminato mais geneticamente modificato:
soltanto le grandi multinazionali che registrano brevetti di sementi
modificate ottengono un notevole profitto economico”.
Per
restare al solo costo delle sementi, dal 1975 al 1997 – prima
dell'era Ogm - per la semina di un campo di soia l'agricoltore
investiva nell'acquisto dei semi dal 4 all'8% del reddito lordo
derivante dalla coltivazione. Nel 2009 le sementi Ogm costavano il
22,5% del reddito ottenuto.
Situazione simile per il mais. Nel 2001,
il prezzo medio dei semi geneticamente modificati era di 110 dollari,
rispetto agli 85 delle sementi convenzionali. Nel 2012, il prezzo
medio delle sementi di
mais Ogm era salito a 263 dollari per unità,
mentre le varietà convenzionali si attestavano su una media di 167
dollari. Inoltre, secondo uno studio della Washington State
University, è previsto un aumento significativo dei prezzi delle
sementi Ogm resistenti agli erbicidi rispetto ai semi convenzionali,
nel momento in cui tali colture venissero autorizzate nell'Unione
Europea.
"Come
ci testimoniano gli agricoltori degli Stati Uniti, la strada degli
Ogm è una via senza ritorno. Per tutelare ambiente, agricoltura e
libertà di scelta delle persone, la scelta possibile è una sola,
mantenere l'Italia libera dagli Ogm", commenta
Federica
Ferrario, responsabile Campagna Agricoltura di Greenpeace Italia.
“Per questo vogliamo ribadire al Presidente del Consiglio Renzi e
al governo la necessità di varare un decreto con effetto immediato
contro le semine geneticamente modificate”.
Le
aziende agricole italiane, d'altronde, hanno una superficie media di
8 ettari. Con queste superfici un'azienda che si basa su monocoltura
di mais impoverisce il suolo, riduce al minimo il lavoro e non riesce
comunque a dare reddito all'agricoltore. Un'azienda biologica e
diversificata che produce prodotti di qualità e vende a filiera
corta fa invece un servizio per il territorio:
può dare più lavoro,
più ambiente e più reddito agli agricoltori. E lo stesso accade a
chi, come buona parte del mondo agricolo nazionale, sceglie di
puntare sulla qualità e sulla tipicità.
Felice D'Agostini