L'ultimo "miracolo" del crocifisso di Donatello
Il Cristo di Donatello è “risorto”. Ricoperto per quasi due secoli da una vernice color bronzo, che ne aveva celata la bellezza dei colori originari, sarà restituito al mondo un autentico capolavoro del Rinascimento italiano di cui s’era persa perfino la memoria.
Sta, infatti, per concludersi lo straordinario restauro del Crocifisso ligneo della chiesa di Santa Maria dei Servi in Padova, recentemente attribuito alla mano di Donatello, il grande artista fiorentino che operò nella città veneta nel decennio che va dal 1443 al 1453. Quando uscirà dal laboratorio di restauro della Soprintendenza del Friuli Venezia Giulia di Udine, sarà esposto al Museo diocesano di Padova dal 27 marzo al 26 luglio del 2015, accanto agli altri due crocifissi realizzati in vita dal Donatello, quello conservato nella chiesa di Santa Croce a Firenze e quello bronzeo della Basilica patavina del Santo. Quindi sarà ricollocato nella chiesa dei Servi e restituito alla comunità dei fedeli.
Una storia affascinante quella del crocifisso, tutta da raccontare: l’opera si conserva da secoli nella nicchia a fianco dell’altare maggiore delle chiesa. L’attribuzione della scultura (un Cristo morente alto 1,87 m intagliato con maestria in legno di pioppo) s’era perduta già nel ‘600, a causa degli eventi prodigiosi che la coinvolsero nel 1512: raccontano le cronache del tempo che per 15 giorni il volto e il costato del crocifisso trasudarono sangue, tutt’ora conservato in un’ampolla nella chiesa padovana. La devozione popolare che ne nacque pose in secondo piano, come spesso accade, l’aspetto artistico del Cristo. Col passare dei secoli la memoria popolare trasferì la paternità donatelliana alla scultura gotica della Vergine, conservata nella stessa chiesa, e obliò quella del crocifisso.
Custodito, comunque, con estrema cura, e oggetto di devozione tutt’oggi, il Cristo venne coperto da una tenda che ne impedì la vista e, verso la fine del 1800, fu completamente verniciato in finto bronzo, con l’intento di nobilitarlo.
E chissà per quanto tempo ancora sarebbe rimasto “celato” in questo modo e privo di paternità, se nel 2008 il caso non avesse posto sotto gli occhi degli studiosi Marco Ruffini e Francesco Caglioti un esemplare del 1550 delle “Vite” del Vasari, custodito nella biblioteca della Yale University (Usa), in cui un’annotazione manoscritta dava la notizia dell’esistenza del crocifisso ligneo e della sua attribuzione a Donatello: “Ha (Donatello) ancor fato il Crucifixo quale è ora in chiesa di Servi Padoa”, dice la nota. A partire da questa testimonianza i due critici hanno restituito la paternità del crocifisso al grande scultore rinascimentale che l’avrebbe realizzato attorno al 1450. Da qui anche la decisione, condivisa dai credenti e dalla comunità patavina dei Servi di Maria, di realizzarne il recupero, rimuovendo la vernice dal manufatto. L’intervento diretto da Elisabetta Francescutti, della Soprintendenza per i beni storico-artistici del Veneto Orientale, e affidato ai restauratori Angelo Pizzolongo e Catia Michielan, è stato avviato un anno e mezzo fa ed è alle fasi finali.
Lo abbiamo visto in anteprima nel laboratorio di Udine. Dalla pulitura è emersa la policromia originaria a olio, stesa a velature e l’aggiunta di parti plasmate a gesso e colla per meglio rendere i rilievi di certe parti anatomiche, a iniziare dal capo, fino al sangue che cola dal costato.
“Donatello non ha solo intagliato, ma anche dipinto e modellato questo corpo raggiungendo così un realismo di straordinaria efficacia e una raffinatezza commovente. C’è davvero qualcosa di divino in quest’opera. Osservandola si può comprendere la differenza tra la realizzazione di un buon artista da quella di un vero genio. Questo restauro offre un nuovo futuro all’interpretazione della grandezza di Donatello”, commenta entusiasticamente Francescutti.
Del tutto eccezionale è pure la situazione in cui è stato rinvenuto il manufatto: “In genere in opere del genere è normale trovarsi di fronte a varie riverniciature che rendono assai difficile l’intervento di restauro. Il Donatello, per fortuna, è stato sottoposto, invece, a un solo rifacimento”, ha aggiunto la direttrice dei lavori.
“Il restauro del laboratorio udinese rappresenta, peraltro, un virtuoso esempio di utilizzo delle risorse interne ai Beni artistici, che in collaborazione con la Fondazione Centro Conservazione e Restauro “La Venaria Reale” di Torino e l’Opificio delle pietre dure di Firenze, hanno realizzato un intervento d’eccellenza”, ha affermato Ugo Soragni, direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici del Veneto. “In questo modo s’è risparmiata la costosa procedura d’appalto esterno”. Lo “svelamento” del Donatello alla fine è costato in tutto 125 mila euro.
Sta, infatti, per concludersi lo straordinario restauro del Crocifisso ligneo della chiesa di Santa Maria dei Servi in Padova, recentemente attribuito alla mano di Donatello, il grande artista fiorentino che operò nella città veneta nel decennio che va dal 1443 al 1453. Quando uscirà dal laboratorio di restauro della Soprintendenza del Friuli Venezia Giulia di Udine, sarà esposto al Museo diocesano di Padova dal 27 marzo al 26 luglio del 2015, accanto agli altri due crocifissi realizzati in vita dal Donatello, quello conservato nella chiesa di Santa Croce a Firenze e quello bronzeo della Basilica patavina del Santo. Quindi sarà ricollocato nella chiesa dei Servi e restituito alla comunità dei fedeli.
Una storia affascinante quella del crocifisso, tutta da raccontare: l’opera si conserva da secoli nella nicchia a fianco dell’altare maggiore delle chiesa. L’attribuzione della scultura (un Cristo morente alto 1,87 m intagliato con maestria in legno di pioppo) s’era perduta già nel ‘600, a causa degli eventi prodigiosi che la coinvolsero nel 1512: raccontano le cronache del tempo che per 15 giorni il volto e il costato del crocifisso trasudarono sangue, tutt’ora conservato in un’ampolla nella chiesa padovana. La devozione popolare che ne nacque pose in secondo piano, come spesso accade, l’aspetto artistico del Cristo. Col passare dei secoli la memoria popolare trasferì la paternità donatelliana alla scultura gotica della Vergine, conservata nella stessa chiesa, e obliò quella del crocifisso.
Custodito, comunque, con estrema cura, e oggetto di devozione tutt’oggi, il Cristo venne coperto da una tenda che ne impedì la vista e, verso la fine del 1800, fu completamente verniciato in finto bronzo, con l’intento di nobilitarlo.
E chissà per quanto tempo ancora sarebbe rimasto “celato” in questo modo e privo di paternità, se nel 2008 il caso non avesse posto sotto gli occhi degli studiosi Marco Ruffini e Francesco Caglioti un esemplare del 1550 delle “Vite” del Vasari, custodito nella biblioteca della Yale University (Usa), in cui un’annotazione manoscritta dava la notizia dell’esistenza del crocifisso ligneo e della sua attribuzione a Donatello: “Ha (Donatello) ancor fato il Crucifixo quale è ora in chiesa di Servi Padoa”, dice la nota. A partire da questa testimonianza i due critici hanno restituito la paternità del crocifisso al grande scultore rinascimentale che l’avrebbe realizzato attorno al 1450. Da qui anche la decisione, condivisa dai credenti e dalla comunità patavina dei Servi di Maria, di realizzarne il recupero, rimuovendo la vernice dal manufatto. L’intervento diretto da Elisabetta Francescutti, della Soprintendenza per i beni storico-artistici del Veneto Orientale, e affidato ai restauratori Angelo Pizzolongo e Catia Michielan, è stato avviato un anno e mezzo fa ed è alle fasi finali.
Lo abbiamo visto in anteprima nel laboratorio di Udine. Dalla pulitura è emersa la policromia originaria a olio, stesa a velature e l’aggiunta di parti plasmate a gesso e colla per meglio rendere i rilievi di certe parti anatomiche, a iniziare dal capo, fino al sangue che cola dal costato.
“Donatello non ha solo intagliato, ma anche dipinto e modellato questo corpo raggiungendo così un realismo di straordinaria efficacia e una raffinatezza commovente. C’è davvero qualcosa di divino in quest’opera. Osservandola si può comprendere la differenza tra la realizzazione di un buon artista da quella di un vero genio. Questo restauro offre un nuovo futuro all’interpretazione della grandezza di Donatello”, commenta entusiasticamente Francescutti.
Del tutto eccezionale è pure la situazione in cui è stato rinvenuto il manufatto: “In genere in opere del genere è normale trovarsi di fronte a varie riverniciature che rendono assai difficile l’intervento di restauro. Il Donatello, per fortuna, è stato sottoposto, invece, a un solo rifacimento”, ha aggiunto la direttrice dei lavori.
“Il restauro del laboratorio udinese rappresenta, peraltro, un virtuoso esempio di utilizzo delle risorse interne ai Beni artistici, che in collaborazione con la Fondazione Centro Conservazione e Restauro “La Venaria Reale” di Torino e l’Opificio delle pietre dure di Firenze, hanno realizzato un intervento d’eccellenza”, ha affermato Ugo Soragni, direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici del Veneto. “In questo modo s’è risparmiata la costosa procedura d’appalto esterno”. Lo “svelamento” del Donatello alla fine è costato in tutto 125 mila euro.















