Lacrime e commozione, gli sfollati di Genova rientrano nelle proprie case
18/10/2018
La strada deserta, senza più auto parcheggiate ormai da settimane, i palazzi disabitati da ben oltre due mesi, alcune finestre rimaste aperte e un silenzio spettrale, se non fosse per il vociare degli sfollati che rientrano nelle case per due ore e dei cronisti e degli operatori fatti entrare a bordo di un piccolo pullman turistico aperto. Nella zona rossa di Genova sotto il ponte Morandi crollato due mesi fa, l'unica traccia che queste case fossero abitate sono le piante che resistono sui balconi. I primi cittadini a entrare sono stati alcuni inquilini dei civici 11 e 16 e 5 e 6, quelli più lontani dalla pila 10 del viadotto. Il capo protetto da un caschetto, e tre vigili del fuoco a fianco, hanno iniziato a riempire gli scatoloni forniti dal Comune, già montati per evitare di perdere tempo nelle due ore concesse, e a collocarli sulle piattaforme mobili da trasloco. In tutta la giornata, secondo i piani, entreranno 24 famiglie. Una donna ha avuto un momento di sconforto, è scoppiata a piangere e ha interrotto la visita in casa a causa dell’emozione. È uscita in strada, dove è stata assistita dai vigili del fuoco. La donna poi si è ripresa e ha fatto rientro in casa. «Questa è spettacolarizzazione del dolore», ha detto il presidente del comitato di sfollati Franco Ravera commentando la decisione di utilizzare un pullman turistico con il tetto apribile per condurre i giornalisti, circa un centinaio in totale tra operatori e cronisti di stampa, siti web, radio e tv, all'interno della zona rossa dove sono in corso le operazioni di recupero dei beni. Il Comune ha deciso di utilizzare questo sistema anche per evitare che potessero verificarsi situazione di disordine e pericolo. Il pulmino, un mezzo da 35 posti, viene fatto entrare dal lato nord di via Fillak e può arrivare fino a primi palazzi, quelli più lontani dal ponte, che incombe a una cinquantina di metri. Assolutamente vietato passare sotto la campata della pila 10, sospesa sulle case. Rientrare nelle proprie case è un «momento emotivamente difficile», ha spiegato Cristina Olmi, del servizio psicosociale della Croce Rossa, che ha fornito l’assistenza agli sfollati. «Non avere più la propria casa significa perdere i punti di riferimento di una vita - spiega -. In questo senso le catastrofi costringono a fare nuove scelte, a mettere in discussione tante cose. Cosa chiedono gli sfollati? Loro non chiedono - risponde - ma condividono l'emozione di un momento difficile»