Nella notte tra giovedì e venerdì gli Stati Uniti hanno compiuto un attacco coi droni all’aeroporto internazionale di Baghdad, la capitale irachena, uccidendo il potentissimo generale iraniano Qassem Suleimani, uno degli uomini più noti e popolari in Iran, oltre a diversi miliziani iracheni. Suleimani era il capo delle forze Quds, corpo speciale delle Guardie Rivoluzionarie iraniane incaricato di compiere operazioni all’estero: negli ultimi anni si era occupato di coordinare l’azione iraniana in diverse crisi del Medio Oriente, tra cui la guerra in Siria e la più recente repressione delle proteste antigovernative irachene da parte delle milizie sciite filo-iraniane presenti in Iraq. Non era solo un comandante militare: era a capo della raccolta di informazioni di intelligence e delle operazioni militari all’estero svolte in segreto, ed era considerato molto vicino alla Guida suprema dell’Iran, Ali Khamenei, la figura politica e religiosa più importante del paese. La sua uccisione potrebbe essere vista dall’Iran come un «atto di guerra», ha scritto il New York Times, e avere enormi conseguenze.
L’ordine di uccidere Suleimani è arrivato direttamente dallo stesso presidente Donald Trump, che non ha informato il Congresso dell’attacco imminente e poche ore dopo si è limitato a pubblicare su Twitter una bandiera degli Stati Uniti. I presidenti americani che lo avevano preceduto avevano scartato l’idea di uccidere Suleimani, per il timore che un’azione di questa portata avrebbe portato all’inizio di una guerra tra Stati Uniti e Iran.