Per sostenere i programmi dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati sono stati messi in vendita 45 scatti di cinque grandi fotografi accomunati dalla sensibilità e correttezza nella rappresentazione dei rifugiati: Yuri Catania e la sua street photography, Franco Pagetti, noto per i reportage di guerra, Pierre André Podbielski e le sue suggestive foto di viaggio, Paolo Solari Bozzi e la sua documentazione naturalistica, il vincitore del World Press Photo 2015 Massimo Sestini con “Mare Nostrum”. Nelle immagini ci sono i muri di Aleppo sventrati, gli occhi dei naufraghi rivolti con speranza verso l’elicottero simbolo del salvataggio.
Le persone costrette alla fuga da dittatura, persecuzioni e guerre sono sempre più un segno di questo tempo. Per l’Unhcr erano 65,3 milioni nel 2015, circa la metà minorenni: per la prima volta veniva superata la soglia dei 60 milioni. Non sono ancora stati diffusi i dati del 2016, ma tutte le previsioni indicano che la cifra del 2015 sarà superata, diventando il numero più alto dalla Seconda guerra mondiale. Un altro triste record del 2016, dopo quello dei morti nel Mediterraneo (5.022), mai così tanti.
Il numero di chi è costretto a scappare è dunque più alto degli abitanti dell’Italia, della Francia o della Gran Bretagna. Una persona su 113 nel mondo. L’Onu registra 24 persone in fuga ogni minuto, quasi il doppio della frequenza del respiro di una persona adulta. Solo nel 2005 erano 6 al minuto. «Le ragioni principali dell’aumento vertiginoso degli ultimi cinque anni», spiegano dall’Unhcr, «sono tre: le crisi durano più a lungo (i conflitti in Somalia o Afghanistan stanno entrando rispettivamente nel loro terzo e quarto decennio); è maggiore la frequenza con cui si verificano nuove situazioni drammatiche o si riacutizzano crisi già in corso (la più grave è la Siria, ma anche Sud Sudan, Yemen, Burundi, Ucraina, Repubblica Centrafricana); la tempestività con cui si riescono a trovare soluzioni per rifugiati e sfollati interni è andata diminuendo dalla fine della Guerra Fredda».
La Siria, entrata nel settimo anno di conflitto, l’Afghanistan e la Somalia, Paesi che evocano un coinvolgimento anche italiano nelle guerre, rappresentano da soli oltre la metà dei rifugiati sotto il mandato dell’Unhcr; la Colombia, ancora la Siria e l’Iraq sono quelli che invece contano il maggior numero di sfollati interni (costretti a lasciare la propria casa ma accampati, a differenza dei rifugiati, all’interno della stessa nazione).
Negli ultimi giorni, gli occhi dell’Unhcr sono puntati sull’Uganda, dove – secondo l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, l’italiano Filippo Grandi – «siamo a un punto di rottura» a causa «dell’insufficiente attenzione internazionali alle sofferenze del popolo sudsudanese». E aggiunge: «L’Uganda non può gestire da sola la più vasta crisi di rifugiati dell’Africa». Il Paese oggi accoglie oltre 800mila rifugiati sudsudanesi, che continuano ad arrivare quotidianamente in fuga dal brutale conflitto e dalla conseguente carestia.
Il caso dell’Uganda, e l’indifferenza che lo circonda, è indice di una minore attenzione mondiale ai profughi. Continua l’Alto Commissario Grandi: «Sempre più persone sono costrette a fuggire a causa di guerre e persecuzioni. Questo è di per sé preoccupante, ma anche i fattori che mettono a rischio i rifugiati si stanno moltiplicando: un numero spaventoso muore in mare, sulla terraferma trovano la strada bloccata da confini chiusi, la politica gravita sempre più verso restrizioni nell’accesso alle procedure d’asilo».
Del resto, la tentazione dei muri, dagli Stati Uniti all’Europa, sembra essere un altro segno di questi tempi. Ma forse è la tentazione, che ha una lunga storia, dell’egoismo dei ricchi verso i poveri. Nel 1993, nell’incontro interreligioso “Uomini e Religioni” organizzato a Milano dalla Comunità di Sant’Egidio, il cardinal Carlo Maria Martini spiegava con parole profetiche e attuali ancora oggi: «Se il muro che divideva l’Europa è stato abbattuto, si sente d’altro canto la spinta a erigere tanti nuovi muri, talvolta più alti, in nome della difesa della propria sicurezza. Muri all’interno degli Stati, muri tra nazione e nazione, un grande muro tra Nord e Sud del mondo. La tentazione del Nord è quella di ritirarsi, alzando una grande barriera che la protegga dall’insicurezza e dall’instabilità che viene dal Sud: è il grande muro che doveva proteggere l’antico impero romano dai barbari. L’attenuarsi della solidarietà, il crescente individualismo, la privatizzazione delle coscienze, le paure e le insicurezze che spingono l’individuo a ritirarsi nel privato, sono sintomi di un problema più generale: la rinuncia a pensare un comune destino universale nel segno della pace e della giustizia».
Stefano Pasta