È stato difficile imparare a volare?
Peter Pan: «Avevo già provato quell’ebbrezza in un altro musical, nei panni di Pinocchio. Lì galleggiavo sul mare quando venivo buttato, divenuto asinello, tra le onde. Il movimento era però più semplice e statico».
Ah, ecco Capitan Uncino, buongiorno anche a lei.
Capitan Uncino: «Buongiorno, scusate il ritardo, non sapevo dove fosse l’incontro per l’intervista».
Peter Pan: «Questo qui, in ritardo e chemi guarda in cagnesco, mi sta già antipatico ». (Ghigno beffardo di Capitan Uncino).
Peter Pan: «Se uno vede i miei voli acrobatici può pensare a una tecnologia sofisticata. In realtà, il meccanismo, che è lo stesso usato a Broadway e nelle riprese di Matrix, è semplice: si tratta delle braccia di due uomini. Una sorta di pas de trois, come si direbbe nella danza. Il movimento deve essere coordinato. Ogni sera faccio il controllo completo ai miei complici di volo: cellulari spenti, perfetto stato di salute...».
Meglio che Spugna non offra loro un “goccetto”... Quando salta dalla finestra fa un bel volo...
Peter Pan: «Nella storia salto dal terzo piano, in realtà... Comunque, sotto ci dovrebbe essere un tappeto ad accogliermi ».
Capitan Uncino: «A volte, il tappeto non c’è (ancora un sogghigno). Pago i miei uomini, perché glielo tirino via...».
Forse lei, Uncino, è invidioso perché lui può volare?
Capitan Uncino: «Ci ho provato, ma i cattivi hanno pensieri troppo pesanti. Bisogna avere pensieri felici per riuscirci. Con questa faccia, mi confinano sempre nel ruolo del cattivo, quello che usa l’intrigo per tirare tutti dalla sua parte. Ai bimbi piace avere paura e il musical, nelle intenzioni del regista Maurizio Colombi, è come un fumetto».
Avete dovuto imparare a tirare di scherma?
Peter Pan: «Il mio è un duello improvvisato. E poi ho uno spadino e Capitan Uncino una spada: ne ho ancora i segni».
Capitan Uncino: «L’ho fatto apposta a colpire questa specie di ramarro verde... Ho avuto un maestro d’armi per girare Lo sbarco dei Mille, film di Raiuno». –
Peter, un ramarro? Assomiglia alla sua paura più grande: il coccodrillo...
Capitan Uncino: «Il coccodrillo, come fa notare anche Edoardo Bennato nella sua canzone, è una metafora del tempo che passa. Di quello ho paura anch’io».
Qual è il finale felice della vostra favola?
Peter Pan: «Per me, che la sindrome di Peter Pan l’ho davvero, la favola è il luogo dove fuggire quando non voglio crescere e assumermi le mie responsabilità. Il mio finale felice c’è già: vedere in questo momento della carriera il mio nome sopra il titolo dello spettacolo. Ed esserci riuscito senza scorciatoie: niente Isole dei Famosi o Grandi Fratelli nel curriculum...».
Capitan Uncino: «Anche per me il finale felice è continuare a vivere di questo lavoro. Prima facevo l’avvocato poi, per caso, ho scoperto la recitazione ed è diventata una malattia. Non riesco più a fare a meno del teatro».
Peter Pan: «Chi recita è un eterno Peter Pan. Ho 41 anni e penso di non dimostrarli. Questo è il vantaggio del nostro lavoro».
(tratto da Famiglia Cristiana 3 del 2007)