Stagno, tantalio, tungsteno e oro, ma anche coltan, giada, rame, nomi che magari ci dicono poco, ma
senza questi minerali dovremmo smettere di telefonare e così pure di utilizzare il computer. Perché proprio da questi dipende il funzionamento dei nostri telefoni cellulari, tablet e pc.
Ancora meno sappiamo del fatto che proprio questi sono i cosiddetti “conflict minerals”, ossia minerali spesso estratti
sotto il controllo di bande armate e signori della guerra, che sfruttano le popolazioni locali e le pongono in
condizioni di schiavitù per finanziarsi con il loro commercio. Il che significa denaro per comprare armi.
I Paesi europei acquistano i minerali suddetti – con una percentuale di quasi il
35% del commercio globale, l'UE è uno dei più grandi importatori di stagno, tantalio, tungsteno e oro – non sapendo (a volte anche sì) che il rischio di alimentare le violenze è altissimo. Negli ultimi 40 anni, almeno
il 60% dei conflitti ha avuto una qualche connessione con l'approvvigionamento e il commercio di risorse naturali. A questo si aggiunge la forte perdita per l'economia locale; le popolazioni sono private del controllo sulle proprie risorse e, di conseguenza, degli introiti derivanti dall'approvvigionamento e commercio delle stesse.
Il giro d'affari relativo solo al settore minerario ammonta a centinaia di milioni di dollari, che finiscono tutti nelle tasche delle varie mafie.
La Commissione Europea ha cercato di correre ai ripari, suggerendo una proposta di legge che mira ad assicurare un acquisto responsabile dei minerali da parte delle imprese, quando questi sono estratti da zone di guerra.
L'obiettivo è rompere il legame tra risorse naturali e conflitti, come nel caso della Repubblica Democratica del Congo dove, negli ultimi 15 anni, fra 3,5 e 4,5 milioni di persone sono morte a causa di gravi violazioni dei diritti umani.
«Ma il testo proposto è decisamente insufficiente», spiegano i promotori della campagna per il cambiamento della bozza di regolamento
(Focsiv, Cidse, EurAc, Justice et Paix).
«Per esempio, non impone alle imprese di far luce sulle loro catene di acquisto, si accontenta di “incoraggiarle” su base volontaria.
Inoltre, la Commissione Europea
si limita a quattro minerali (oro, stagno, tantalio e tungsteno), dimenticando che esistono
numerose altre risorse minerarie nel mondo che contribuiscono alla violazione di diritti umani, come il rame, la giada e i rubini in Birmania, il carbone in Colombia, i diamanti in Zimbabwe e nella Repubblica Centrafricana».
«Il regolamento, poi, limita la sua influenza a
solo 480 imprese europee», insistono le associazioni.
«Esigiamo dai parlamentari europei che votino a favore di una legge efficace che contribuisca a ristabilire la pace».
Il Parlamento europeo voterà il disegno di legge, in sessione plenaria,
mercoledì 20 maggio, perciò è necessario che la società civile si faccia sentire.
Le associazioni promotrici chiedono a tutti di aderire alla loro petizione online (entrando nel sito
www.justicepaix.be/minerali-di-conflitto), affinché il Parlamento Europeo modifichi la proposta di regolamento in senso più restrittivo.
La richiesta è per “l'introduzione per le imprese di requisiti obbligatori nel garantire il rispetto dei diritti umani, l'adozione di un approccio di tipo vincolante che non abbia alcun limite di carattere geografico,
l'inclusione di tutte le imprese coinvolte nella filiera nel sistema di certificazione obbligatoria – non solo quelle importatrici e quelle estrattive – e
l'ampliamento della tipologia di risorse naturali, il cui approvvigionamento e commercio nascondono violazioni di diritti umani”.
Romina Gobbo