Sant'Egidio, la festa di famiglia per chi non ha famiglia
26/12/2013In 73 paesi d’Europa, Africa, Asia e America Latina, oltre 160 mila persone hanno pranzato su tavolate rosse e gioiose: la Comunità di Sant’Egidio ha organizzato il pranzo di Natale per tutti quelli che sono soli o troppo poveri.
«Cerchiamo
di vivere il Natale in maniera coerente col Vangelo, accogliendo Gesù
al centro della nostra vita», è stato uno dei tweet che Papa Francesco ha
diffuso un questi giorni.
Il 25 dicembre, la Comunità di Sant’Egidio
ha organizzato la festa di famiglia per chi non ha famiglia, il
pranzo di Natale per tutti quelli che sono soli, o troppo poveri.
In
tutto il mondo, le famiglie si riuniscono, comprano regali da
scambiarsi sotto l’albero, apparecchiano la tavola per la festa:
per chi non ha nessuno, questa festa, più di tutte le altre, diviene
un giorno veramente triste.
Per questo, in 73
paesi d’Europa, Africa, Asia e America Latina,
oltre 160 mila persone hanno pranzato su tavolate rosse e gioiose:
sono gli anziani soli, chi è rimasto senza casa o senza lavoro, i
bambini di strada, chi è in prigione, chi è discriminato per la
malattia o la povertà, anche non cristiani.
In
Italia, il menù prevede antipasto,
lasagne, polpettone e verdure, frutta fresca, panettone e spumante,
caffè e cioccolatini. I regali distribuiti da Babbo Natale e una
tombola per concludere la festa.
In
uno dei pranzi di Milano, dove il
“Buon Natale” è stato
augurato in oltre 30 lingue, arriva Anna, 86 anni, che ha portato
«gli occhiali buoni» per
leggere bene i numeri della tombola e abbraccia gli amici che
l’accolgono all’ingresso: «Te vist? Sun chi anca mò!»
(«Hai visto? Sono ancora qui!»,
in milanese). Anna arriva sorretta da Ionut e Georgel, due ragazzini
rom suoi vicini di casa. Da quando la loro famiglia è stata aiutata
da Sant’Egidio a passare da una baracca alla casa, sono diventati
amici di questa anziana che ora chiamano nonna e che, ormai da tre
anni, non vogliono lasciare sola il giorno di Natale.
Vicino
ad Anna, ci sono altri rom che vivono ancora in baraccopoli e che,
quella stessa mattina, sono magari andati a elemosinare ma ora sono
seduti ad una tavola elegante, serviti da tanti volontari. Liliana,
abituata a essere disprezzata, è stupita di ricevere un regalo
pensato proprio per lei e si appende al collo di Babbo Natale.
Al
pranzo ciascuno ha un nome: per Sant’Egidio, «i poveri»,
spiega il fondatore Andrea Riccardi «non
sono casi sociali o “assistiti”, ma vengono considerati come
amici e parenti. Il servizio ai poveri è vissuto prima di tutto come
amicizia, anzi con uno spirito familiare. Il povero è uno in più
della tua famiglia. E perché far mancare compagnia e sostegno a un
caro amico o a un parente? E chi lo lascerebbe solo proprio il giorno
di Natale?».
Il
pranzo di Sant’Egidio compie quest’anno 31 anni, da quando,
nel 1982, un piccolo gruppo di 20 invitati, anziani e senza fissa
dimora conosciuti nelle strade di Roma, fu accolto attorno alla
tavola nella Basilica di Santa Maria in Trastevere. Tra di loro c’era
Rita, che viveva in uno dei “bassi”, i vecchi magazzini tra i
vicoli, locali umidi e senza servizi igienici. Inizialmente aveva
rifiutato l’invito della Comunità perché contava di andare a casa
del figlio.
«Poco prima del
pranzo», racconta Francesca,
«passammo a casa sua per
farle gli auguri. Stava dietro la porta che piangeva, vestita di
tutto punto, con la borsetta sotto braccio, pronta per uscire.
Nessuno era andato a prenderla. La portammo al pranzo in chiesa. Non
posso dimenticare quando alla fine mi disse: “È stato il più bel
giorno della mia vita. Cosa sarebbe stato se non avessi avuto un
angelo che si è ricordato di me? Non mi sentivo un angelo, ma ero
felice anch'io”».
Da quel primo pranzo la
tavola si è allargata di anno in anno e da Trastevere ha raggiunto
tutto il mondo, dovunque la Comunità è presente. Dagli ospiti del
Cara di Mineo appena sbarcati a
Lampedusa alle carceri africane, dai bambini di strada
latinoamericani ai malati di aids in Africa e ai lebbrosi in
Indonesia, dalle vittime del tifone Hayan nelle Filippine ai
cristiani che rischiano la vita per la loro fede in Pakistan.
Quella del pranzo per i
poveri in Chiesa è un tradizione antica: lo si faceva spesso a Roma
nel primo millennio, ma già Paolino da Nola, un vescovo santo
vissuto fra il IV e il V secolo, ne racconta uno offerto nella madre
di tutte le chiese, la basilica di San Pietro in Vaticano.
San Francesco diceva
del Natale che era la «festa
delle feste», cioè che
doveva abbracciare tutti, nessuno escluso. Tommaso da Celano racconta
che «Francesco
voleva che in questo giorno i mendicanti fossero saziati dai ricchi e
che i buoi e gli asini ricevessero una razione di cibo e di fieno più
abbondante del solito».
Negli anni del Concilio
Vaticano II, è invece un vescovo molto attento ai poveri e alla
Chiesa tra i poveri, mons. Helder Camara, a sognare quello che sarà
poi realizzato da Sant’Egidio. Questi scrive nel 1965 che ha
lanciato un’idea: quella di una celebrazione eucaristica a Santa
Maria in Trastevere: «Sarebbero
invitati i poveri dei dintorni. Ad esempio Giulio, di 42 anni,
paralizzato dall’età di 18 mesi… Riempiremmo la chiesa di
Sottoproletari, di Miserabili, del Cristo che a Roma si chiama
Giulio, Peppino o Giuseppe» (Roma, due del mattino, Lettere
dal Concilio).
Ma la prima descrizione
del pranzo di Natale con i poveri la si trova in realtà nel Vangelo
di Luca: «Quando
offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi
fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini, perché anch’essi
non ti invitino a loro volta e tu abbia il contraccambio. Al
contrario, quando dai un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi,
ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai
infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti»
(Lc
14,12-14).
Commentando
queste parole, Papa Francesco nell’Evangelii
Gaudium
afferma: «Non
debbono restare dubbi né sussistono spiegazioni che indeboliscano
questo messaggio tanto chiaro. Oggi e sempre “i poveri sono i
destinatari privilegiati del Vangelo”, e l’evangelizzazione
rivolta gratuitamente a essi è segno del Regno che Gesù è venuto a
portare. Occorre affermare senza giri di parole che esiste un vincolo
inseparabile tra la nostra fede e i poveri. Non lasciamoli mai soli».
Vangelo e poveri sono
intimamente uniti per il Papa, che aggiunge: «Per
la Chiesa l’opzione per i poveri è una categoria teologica prima
che culturale, sociologica, politica o filosofica. Dio concede loro
la “prima misericordia”. Questa preferenza divina ha delle
conseguenze nella vita di fede di tutti i cristiani chiamati ad avere
gli stessi sentimenti di Gesù. Ispirata da essa la Chiesa ha fatto
un’opzione per i poveri intesa come una forma speciale di primazia
nell’esercizio della carità cristiana, della quale dà
testimonianza tutta la tradizione della Chiesa. Per questo desidero
una Chiesa povera per i poveri. Essi hanno molto da insegnarci. Siamo
chiamati a scoprire Cristo in loro, a prestare ad essi la nostra voce
nelle loro cause, ma anche a essere loro amici, ad ascoltarli, a
comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole
comunicarci attraverso di loro» (EG 198).