Sud Sudan, guerra etnica, anzi no
23/02/2014Quella che viene a torto considerata una guerra tribale fra i Dinka e i Nuer è in realtà una lotta di potere fra gli uomini forti del Sud Sudan. Ma come sempre a pagare il prezzo più alto delle violenze sono i civili. Ecco cosa sta accadendo.
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Il testo e il reportage fotografico sono di Alessabdro Rocca.
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Il campo di Tomping è surreale. Oltre 22 mila persone tutte di etnia nuer che si sono rifugiate nel compound dell’Onu. La situazione è molto dura e difficile, sia dal punto di vista umanitario, che da quello sanitario, sia dal punto di vista della tensione.
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L’organizzazione internazionale per i migranti (Oim) provvede alla registrazione e alla distribuzione delle tessere per il ritiro anche delle razioni di cibo ad opera del Wfp, il fondo mondiale per l’alimentazione dell’Onu.
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Intersos (http://intersos.org) sta organizzando gli aiuti all’interno del campo, fra corridoi di filo spinato, discussioni e proteste.
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Intersos provvede alla distribuzione di quello che viene definito non-food, coperte, taniche per l’acqua, teli contro la pioggia, che tra qualche settimana renderà la situazione insostenibile con rischio di epidemie.
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Bruno Tassan Viol, operatore di Intersos durante la visita al campo non nega le grandi difficoltà della situazione.
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Inoltre spiega che da una struttura poco lontana di notte alcuni cecchini sparano nel mucchio e solo la scorsa settimana ci sono stati nove feriti.
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Con un volo messo a disposizione alle organizzazioni non governative dal World Food Program voliamo verso il campo di Minkamann, dove c’è un piccolo centro sanitario gestito dal Comitato di Collaborazione Medica di Torino (http://www.ccm-italia.org/ita), piccola Ong che da oltre 40 anni opera e lavora nelle zone rurali del Sud Sudan.
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Qui sono accampati alla meglio oltre 120 mila sfollati, per lo più fuggiti dalle atrocità di Bor, dove ci sono stati gli scontri più sanguinosi.
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Gli operatori del Ccm, quasi tutti giovani Sud Sudanesi e Keniani, formati proprio dalla Ong, insieme a Medici senza frontiere (http://www.medicisenzafrontiere.it), stanno facendo fronte alla malaria, alla diarrea diffusa e ai molti casi di malnutrizione che si presentano soprattutto fra i bambini sotto i cinque anni.
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Nel campo le famiglie sono accampate sotto gli alberi per proteggersi dagli oltre 40 gradi che rendono l’aria irrespirabile.
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La maggior parte degli sfollati sono armati, anche se la situazione, come ancora ci spiegano gli operatori umanitari, appare per il momento tranquilla e gestibile.
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In macchina, proseguiamo verso Yirol. La strada pare sicura.
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Qui, come in molti altri centri, le armi sono ovunque, distribuite alla popolazione durante i primi giorni di scontri da entrambe le fazioni. Sono armi nuove, alcune di fabbricazione cinese.
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L’ospedale della città è gestito da Cuamm-Medici con l’Africa, Ong di Padova, presente con due medici, il dottor Enzo Pisani e sua moglie Ottavia, che non hanno mai abbandonato il loro posto. A dar loro una mano altri quattro operatori sanitari.
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Il dottor Pisani deve far fronte a situazioni molto delicate. L’ospedale è pieno di soldati Dinka, molti dei quali mutilati e nonostante sia vietato introdurre armi all’interno del perimetro della struttura sanitaria, tutti hanno almeno una pistola sotto il cuscino.
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Assistiamo all’arrivo di un soldato Nuer ritrovato nella foresta dopo 12 giorni. Faceva parte probabilmente della cosiddetta Armata bianca, di 20 mila uomini, che avrebbe dovuto marciare su Juba, la capitale.
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Yirol si trova in una zona strategica, di passaggio per entrambe le fazioni in lotta per il controllo di zone come Bentiu, rasa al suolo e ora in mano ai governativi e qui nelle scorse settimane si sono concentrati decine di migliaia di soldati fedeli a Salva Kiir.
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Il militare Nuer deve essere operato d’urgenza ad un piede. Ma appena gli altri ricoverati vengono a conoscenza della sua presenza vogliono linciarlo. Dicono che non lascerà vivo l’ospedale. Il dotto Pisani e la moglie lo piantonano per alcune ore, tenendolo nascosto. Poi un ordine dall’alto, pare proprio del presidente Kiir, che dice che il sodato ribelle deve essere protetto e processato. Fra tensioni e concitazione viene portato fuori e trasportato in una località sicura.
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Il dottor Enzo Pisani e la sua equipe durante un intervento.
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Quella che non è una guerra etnica, ma dai racconti appare tale, mette gli uni contro gli altri, Dinka contro Nuer. Ad Addis Abeba sono ripresi i colloqui di pace. Colloqui subito difficili. I ribelli hanno chiesto il rilascio di alcuni prigionieri e il ritiro incondizionato dei militari ugandesi che hanno avuto un ruolo fondamentale nella battaglia per riprendere la città di Bor.
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Pare che nessuno dei due contendenti, sia il presidente Salva Kiir che il suo rivale Riek Machar, accetterà di meno di ciò che aveva. E sul territorio spirano forti i venti di guerra.
Il
cessate il fuoco firmato lo scorso 23 gennaio tra il governo
sud-sudanese guidato da Salva Kiir e i ribelli fedeli all'ex
vicepresidente Riek Machar, hanno fermato le ostilità fra le parti,
iniziate il 15 dicembre, con tre giorni di caccia all’uomo nella
capitale Juba e le successive battaglie per il controllo delle città
di Bentiu, Bor e Malakal, ridotte ad un cumulo di macerie.
Le
tre città degli Stati
che contano – Unity, Jonglei e Upper Nile – sono ora controllate
dai governativi. Ma Machar non si sa dove sia, qualcuno dice che è
nel bush, che si sta preparando alle prossime mosse: mettere in
ginocchio il Sud Sudan è facile, basta rendere insicuro il
territorio, basta rendere intrasportabile il petrolio, unico prodotto
dell'esportazione sud sudanese.
Gli scontri in due mesi hanno causato migliaia di morti e
oltre 825 mila tra sfollati e profughi secondo le ultime stime delle
Nazioni Unite. Circa 720 mila si sono mossi all’interno del Paese,
poco più di 100 mila hanno passato le frontiere verso Kenya e
Uganda.
Quella
che viene a torto considerata una guerra etnica fra i Dinka e i Nuer
è in realtà una lotta di potere fra gli uomini forti del Sud Sudan,
che non sono mai riusciti a trovare un vero accordo, pur condividendo
il primo governo del neonato stato africano.
Lo
scorso 15 dicembre i disordini a Juba hanno provocato una fuga dei
Nuer nelle due basi delle Nazioni Unite, che fortunatamente hanno
aperto le loro porte, visto anche il mandato di protezione della
popolazione civile che hanno nel paese.
Si sono creati due
agglomerati umani uno di oltre 22 mila persone , in quello che viene
chiamato Tompking Camp, vicino all’aeroporto, e l’altro, detto
Juba Tre con oltre 15 mila sfollati. Prigionieri della loro stessa
città, non posso uscire, essere trasferiti o spostati, perché
coloro che dovrebbero provvedere a tutto ciò, l’esercito regolare
fedele al presidente Kiir, sono di entia Dinka, loro acerrimi nemici.
Questa guerra tra esercito regolare, appoggiato dalle truppe
ugandesi, e disertori e milizie etniche, che hanno messo l'una contro
l'altra la tribù Dinka, quella di Kiir, al gruppo Nuer, quello di
Machar, pare non avere a breve, una soluzione.