Dopo trentasei ore di viaggio da Leopoli, il convoglio è arrivato prima a Levico Terme, in Trentino, dove sono stati accolti quaranta profughi tra cui una tetraplegica, e poi a Settimo Torinese, nel Centro polifunzionale “Teobaldo Fenoglio” della Croce Rossa, dove sono stati accolte altre quaranta persone mentre altre due ancora hanno proseguito il viaggio verso la Puglia.
«La Croce Rossa ucraina ci aveva chiesto di portare in salvo questi pazienti in Italia perché con il conflitto in corso era impossibile che potessero restare lì e ricevere le cure adeguate», spiega Ignazio Schintu, direttore delle operazioni emergenza e soccorsi della CRI incontrando i giornalisti nel Centro di Settimo Torinese, «si tratta di persone provenienti dal Donbass che vivono da anni sotto i bombardamenti. Con l’aggravarsi della guerra hanno dovuto in fretta e furia scappare, aiutati dalla direttrice della clinica, trovando protezione nei rifugi lungo il viaggio. Noi li abbiamo incontrati a Leopoli che è una città surreale, deserta di giorno e la sera piena di miliziani».
All’andata, domenica scorsa, il viaggio no stop è durato 24 ore per coprire duemila chilometri, «quello di ritorno è stato più lungo perché le persone necessitavano di assistenza particolare», spiega Schintu. Nella missione a Leopoli sono stati impiegati 16 mezzi, incluse ambulanze, pulmini, minibus, mezzi ad alto biocontenimento, macchine e furgoni per materiali vari e 51 operatori della Croce Rossa Italiana tra cui volontari, staff, medici, infermieri OSS, operatori Restoring Family Links. Ora gli ottantadue pazienti saranno destinati in strutture ad hoc in Piemonte, Trentino e Puglia.
«Probabilmente se non li avessimo portati in Italia non sarebbero riusciti a superare il conflitto», dice Schintu, «vivono da anni sotto le bombe perché il Donbass è terra di conflitto dl 2014. Probabilmente la notte scorsa è stata la prima in cui hanno dormito senza il rumore delle bombe e il suono delle sirene».
Francesca Basile, responsabile unità operativa delle migrazioni della Croce Rossa, spiega che si tratta di «persone completamente sole, senza familiari. I medici che li seguivano sono oggi in ospedali ucraini nelle zone del conflitto. L’evacuazione è durata circa un’ora e abbiamo raccolto le cartelle cliniche di ognuno per poter fornire l’assistenza medica adeguata».