Caro Ennio,
il tumore della prostata è una
malattia molto frequente: in molti
Paesi occidentali è quello più
diff uso tra gli uomini: in Italia, ad esempio,
esso rappresenta circa il 20 per cento dei
casi che insorgono oltre i 50 anni.
Nello stesso tempo, però, la sua prognosi
è molto buona: circa il 90 per cento delle
persone con diagnosi di carcinoma prostatico
sono vive a cinque anni dalla scoperta
della malattia, e questo dato è in costante
crescita, grazie all’anticipazione diagnostica
e all’effi cacia delle cure disponibili, siano
esse chirurgiche, radioterapiche o farmacologiche.
Oggi, grazie allo screening che viene
eseguito su persone sane, normalmente
con età compresa tra 50 e 75 anni, tramite
uno specifi co esame del sangue (Psa) e
una visita medica, si diagnosticano alterazioni
cellulari che non sarebbero state mai
riscontrate e, quindi, “conteggiate”. Ciò ha
un chiaro vantaggio, ma anche un chiaro svantaggio.
Il primo consiste nello scovare
i tumori “silenti, ma pericolosi”, già in
fase precoce; il secondo nel fatto che alcune
anomalie trovate potrebbero non dare
mai segno di sé nella vita e, pertanto, si
tratterebbe in questo caso di una sovradiagnosi,
poiché porta a “trasformare in malato”
una persona che, nella sostanza, non
avrebbe mai avuto disturbi, se non avesse
mai saputo di avere questo problema.
Per avere un’idea della grandezza di tali
fenomeni, un grande studio europeo (Erspc),
condotto su oltre 180.000 maschi tra
50 e 74 anni, conclude che lo screening è
in grado di dare una riduzione di mortalità
per cancro del 20 per cento, a fronte di una
sovradiagnosi del 50 per cento, rispetto al gruppo che non ha eseguito tale monitoraggio.
Oggi fortunatamente abbiamo comunque
molti elementi che permettono di
prevedere, in parte, l’aggressività della malattia
e guidare, quindi, i medici specialisti
nelle scelte terapeutiche.
La prima domanda, infatti, che ci si deve
porre, prima ancora di scegliere la terapia
migliore, è se il tumore prostatico diagnosticato
meriti di essere curato, oppure
sia tale da giustifi care la cosiddetta “cauta
osservazione”, cioè la scelta di non fare
alcuna cura e osservare l’evoluzione della
malattia, talvolta appunto talmente lenta
da non richiedere alcuna attenzione.
Qualora si ponesse poi l’indicazione
a un trattamento, le possibilità sono molteplici
e variano dalla radioterapia (oggi
enormemente innovativa in questo campo)
alla chirurgia (anche essa oggi capace
di utilizzare tecniche robotiche), all’utilizzo
di farmaci, tra cui in prima linea ci sono
quelli “antiandrogeni” capaci cioè, tramite
blocco dello stimolo di crescita che essi
esercitano, di ottenere remissioni maggiori
e durature della malattia stessa.
Possiamo quindi dire, per rispondere alla
sua domanda, che la diagnosi di un tumore
prostatico va affrontata con molta
serenità e che richiede peraltro una valutazione
da parte di medici esperti, all’interno
di centri che abbiano possibilità di eseguire
valutazioni multidisciplinari, per poter indicare
la giusta strada individualizzando,
persona per persona, quale sia il percorso
migliore da seguire.