Risotto al Castelmagno con Barbera
Proposta da: - Ristorante Con Calma, Torino
Ingredienti - 6 persone
320 g di riso carnaroli, 2 etti di castelmagno, una cipolla bionda, 2 foglie di alloro
un’arancia, farina di frumento, 3 bicchieri di vino Barbera, brodo vegetale
parmigiano reggiano, 160 g di burro, sale, 2 chiodi di garofano
Tempo di esecuzione:
25 minuti
Risotto al Castelmagno con Barbera (© Alberto Peroli)
Ricetta
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1: Rosolate la cipolla affettata finemente con il burro e le foglie di alloro; trasferite nel tegame il
riso e fatelo tostare. Bagnate con il brodo e portate a termine la cottura nel modo tradizionale.
2: Nel frattempo, in un pentolino con la scorza d’arancia e i chiodi di garofano fate ridurre a
un terzo il vino, quindi a fuoco spento legate con 80 grammi circa di burro amalgamato con un
cucchiaio di farina.
3: Quando il riso sarà al dente, mantecate, dopo avere spento il fuoco, con il restante burro, il
castelmagno a scaglie e un etto di parmigiano grattugiato.
4: Lasciate riposare qualche minuto e servite, decorando con la riduzione di Barbera.
Curiosità:
Il sapore aromatico e delicatamente piccante del castelmagno si sposa bene con una Barbera
di media struttura non troppo invecchiata, che per questo risotto si arricchisce dell’aroma dei
chiodi di garofano e della scorza d’arancia.
Castelmagno d’alpeggio
Le prime notizie sul castelmagno risalgono al XIII secolo: una sentenza
del 1277 imponeva, in cambio dell’affitto di alcuni pascoli, la consegna di
una certa quantità di forme. Forme che ancora oggi sono cilindriche, con
dimensioni variabili: 15-25 centimetri il diametro, 12-20 lo scalzo, 5-7 chili
il peso. Con l’avanzare della stagionatura la crosta, da giallo-rossastra,
diventa più scura, spessa e rugosa, il sapore tende al piccante e la
pasta, inizialmente di colore avorio e morbida, acquista più compattezza
e scurisce, presentando a volte un’erborinatura. Nell’Ottocento il
castelmagno era il re dei formaggi piemontesi e compariva nei menù
dei più prestigiosi ristoranti di Parigi e Londra. Poi la decadenza: con le
guerre e lo spopolamento della montagna, ha rischiato di scomparire.
Oggi, spesso prodotto in caseifici di valle, non sempre conserva le
caratteristiche originarie. Rimangono alcuni produttori, riuniti nel
Presidio, che lavorano, senza fermenti e secondo tradizione, latte vaccino
crudo – con minime aggiunte di latte ovino o caprino – ottenuto da
vacche che pascolano a quote superiori ai 1600 metri.