Sant’Antonio di Padova – Gemona. La Porziuncola del Friuli risorta dal sisma
Quasi una nuova Porziuncola nel cuore del Friuli. Il santuario di Sant’Antonio a Gemona sorge nella cittadina che fu la “capitale” del terremoto del 1976 e ingloba al suo interno il rudere della prima cappella dedicata alla Beata Vergine delle Grazie, voluta proprio dal santo di Padova, il quale giunse in terra friulana con la sua predicazione itinerante intorno al 1227. Compì miracoli e guarì anime, tanto che la sua fama di santità si diffuse ben presto tra la gente: «Questa cappella è la memoria storica della presenza di sant’Antonio nella nostra terra», afferma padre Celestino Dell’Osbel, rettore del santuario e superiore della comunità dei frati Minori che ne cura la custodia. Una presenza confermata anche dal ritrovamento di un’antica iscrizione che attribuisce al santo l’origine di questa piccola chiesa. La devozione popolare si rinnova il 13 giugno di ogni anno, quando «sant’Antoni» (così lo chiamano i fedeli friulani) viene portato in processione per le vie del centro, accompagnato dal suono della banda e delle campane a festa di tutte le chiese.
UN LUOGO PER RICONCILIARSI
Chi raggiunge il santuario si trova ben presto immerso in una piccola oasi di pace: «È una zona di raccoglimento e di preghiera: anche di notte qui si riposa bene», confida sorridendo padre Celestino, «perché la ricercatezza dell’ambiente favorisce la preghiera e l’incontro con la grazia del Signore, in particolare nella Riconciliazione». Il santuario, infatti, è una delle chiese giubilari dell’arcidiocesi di Udine nella quale, in quest’Anno straordinario dedicato alla misericordia, i fedeli possono vivere con maggiore intensità il sacramento della Riconciliazione e ottenere l’indulgenza. «C’è sempre più bisogno di sacerdoti che sappiano ascoltare a fondo», prosegue ancora il rettore, «la gente ha bisogno di parlare, di buttare fuori tutto il marasma che si porta nel cuore. Il santuario, ancor prima che una clinica della misericordia, è diventato una clinica del dialogo». Un dialogo che, a volte, deve soffermarsi anche sulla difficoltà delle famiglie di oggi nel far quadrare il cerchio economico e spirituale della quotidianità e nel trovare un sostegno quando vivono l’esperienza del fallimento: «È sempre più difficile abbattere le barriere della diffidenza nell’incontrare gli altri e, quindi, molte persone confidano nell’esperienza spirituale e nella preghiera per colmare i vuoti che si trascinano dietro».
RINATO DALLA MACERIE
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L’architettura del santuario, frutto della ricostruzione post-terremoto, fonde antico e moderno insieme. I punti di attrazione al suo interno – entrambi opere dell’artista friulano Arrigo Poz, mancato appena un anno fa – sono il rosone laterale, raffigurante il Cantico delle creature, e il mosaico Cristo luce del mondo che con i suoi 65 metri quadrati domina l’abside, illuminando l’aula liturgica in un trionfo di colori. Ma qui è di casa anche l’arte antica. Ricordiamo la bellissima cappella della Madonna del Rosario risalente al 1687, opera dell’artista svizzero Melchior Widmar, che fu in parte risparmiata dal terremoto, e il museo Raffaelli, annesso al santuario, che raccoglie capolavori della pittura recuperati dalle macerie e opere provenienti dalla chiesa di Sant’Anna di Capodistria (nell’attuale Slovenia). Prima dell’avanzata titina, infatti, Capodistria fu sede di una delle province dei frati Minori. «I frati furono costretti nottetempo a portare via questi gioielli dell’arte e li trasferirono qui a Gemona e in parte a Mantova, dove si trova un trittico di grande valore», racconta ancora padre Celestino.
E infine ecco la «cella del Santo»: un angolo di silenzio nel quale è possibile raccogliersi in preghiera, ma anche un ulteriore segno tangibile della presenza di Antonio in questo luogo. Da ricordare che da questo convento passarono il gemonese padre Basilio Brollo, estensore del primo dizionario cinese-latino, san Giovanni da Capestrano, che a Gemona compì ventinove miracoli, e il servo di Dio Gregorio Fioravanti, fondatore delle suore Francescane missionarie del Sacro Cuore.
sete di misericordia.
Il 20 dicembre scorso c’è stata l’apertura della Porta della misericordia, con una solenne celebrazione per tutta la foranìa di Gemona (la foranìa è una zona pastorale dell’arcidiocesi). Una folla di credenti ha riempito il santuario anche per le 24 ore successive, dedicate alla preghiera e alla Riconciliazione. La sete di misericordia, quindi, c’è: «Certo, c’è sete di conoscere meglio i contenuti della fede e di tradurli in pratica», conclude padre Celestino «quarant’anni or sono qui c’è stato un terremoto materiale devastante. Adesso si sta sviluppando un terremoto di tipo morale e spirituale. E la Riconciliazione può diventare un impegno di vita serio. In fondo basta essere creativi nel migliorarsi e cambiare vita».
ANTONIO, IL SANTO PORTOGHESE ADOTTATO DA PADOVA
C’è chi lo chiama sant’Antonio da Padova. Ma quel «da» è impreciso: meglio dire «di» Padova. Lui che è uno dei santi più amati e pregati dagli italiani, era invece nato a Lisbona, in Portogallo, nel 1192. Ma nella città veneta visse gli ultimi tempi della sua missione, morì a soli 36 anni, e tuttora lì si trovano le sue reliquie, meta di milioni di pellegrini nella basilica chiamata semplicemente «del Santo». Francescano, grande predicatore, è venerato come protettore dei poveri e dei bambini. Viene quasi sempre rappresentato con in braccio Gesù bambino, che gli apparve in visione poco prima della morte, e con un giglio, simbolo di purezza.
I SIMBOLI DELLA RINASCITA
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Il terremoto colpì duramente anche molte chiese e monumenti storici. Tra questi il duomo di Gemona diventato uno dei simboli della ricostruzione. Il sisma fece crollare tutta la navata destra e la torre campanaria. Dalle macerie fu estratto il crocifisso quattrocentesco tuttora conservato mutilato come icona e memoria delle vittime. Anche il duomo di Venzone – cittadina Monumento nazionale dal 1965 in quanto unico borgo fortificato trecentesco presente nel Friuli Venezia-Giulia – fu distrutto dal terremoto e la ricostruzione, conclusa in 8 anni, fu realizzata,
così come a Gemona, con il metodo dell’anastilosi, cioè il rimontaggio dei frammenti originali di pietre ed elementi architettonici. Sempre a Gemona esiste invece un esempio di valorizzazione di un rudere: quello della chiesa della Beata Vergine delle Grazie. L’edificio non è stato riedificato in quanto mancavano i presupposti per un restauro filologico con anastilosi. Ma rimane ancora
il portale in pietra che primeggia sull’ampia gradinata d’accesso.
ORGANIZZARE LA VISITA
Il santuario di Sant’Antonio si trova nelle vicinanze del centro storico di Gemona (Udine) ed è facilmente raggiungibile sia in automobile (uscita autostradale Gemona-Osoppo) sia in treno (dalla stazione di Gemona, circa un 1 km a piedi, in leggera salita).
ORARI E CELEBRAZIONI
Il santuario è aperto ogni giorno dalle 7 alle 12 e dalle 15 alle 19 e nei medesimi orari i frati sono
a disposizione per le Confessioni.
Le Messe feriali sono celebrate alle ore 8 e alle ore 9, mentre
le Lodi si recitano alle 7.40 e il Rosario alle 8.45.
Le Messe festive si celebrano
alle 7.30, 9.30, 11 e 18.
Ulteriori informazioni sono reperibili sul sito www.santantoniogemona.it.
IL MUSEO
L’annesso museo “Renato Raffaelli” di arte e arredi sacri è visitabile liberamente la domenica, mentre per gli altri giorni è necessario prenotare telefonando allo 0432/98.11.13 o scrivendo
a santuariogemona@alice.it. L’ingresso è libero. Accessibile alle persone disabili.