Dalla nostra Luciana Savignano all'argentino Jorge Donne, da Maya Plisetskaya, a Sylvie Guillem. Prima di Roberto Bolle sono stati molti i grandi ballerini che si sono cimentati nel Boléro di Maurice Béjart, creato nel 1961 per il Ballet du XXème siècle, una delle versioni coreografiche più riuscite e rappresentate nel mondo della musica di Ravel. Il grande danzatore, in scena fino al 7 aprile all Teatro alla Scala con il trittico Mahler 10/Petite mort/Boléro ha lasciato il pubblico davvero in delirio con la sua interpretazione.
Da sempre il successo di questa coreografia di Béjart, che è stata anche protagonista nel film di Claude Lelouch "Bolero (1981, titolo originale Les uns et les autres, con Robert Hossein, Nicole Garcia, Geraldine Chaplin e James Caan) si deve alla perfetta rispondenza tra la partitura musicale e quella coreografica. Il ruolo di interprete era stato creato da Béjart per una donna, la ballerina Dufka Sifnios.
"Un sogno che si realizza. Ho sempre voluto interpretare questo ruolo, perché ha una forza e una carica così forte e diversa da tutti gli altri ruoli del balletto classico e contemporaneo". Così ha commentato Bolle alla sua prima volta sul celebre tavolo rosso-arancio simbolo del Bolero del coreografo marsigliese, scomparso nel 2007
A differenza del primo Boléro della Nijinska (un intreccio di passioni in una taverna spagnola), quello di Maurice Béjart non narra una storia, ma interpreta la struttura musicale, incentrata sulle metamorfosi timbriche del tema orientaleggiante esposto dal flauto all’inizio del brano, e sulle sue ipnotiche riproposizioni, in forma identica, da parte di diversi gruppi strumentali. Il protagonista danza su un grande tavolo rotondo, inondato di luce arancione, mentre un coro di ballerini all’inizio sta seduto su sedie disposte lungo le pareti del palco. Ciò che accade in soli sedici minuti si può riassumere in un crescendo musicale: l’interprete al centro tavolo continua a danzare a piedi nudi, in calzamaglia nera, e provoca con il suo movimento ondeggiante il coro, che poco alla volta viene chiamato a unirsi alla danza a gruppi di quattro, otto, dodici e sedici elementi, in corrispondenza delle varie famiglie di strumenti della compagine musicale. Lo stesso coro circonda poi da vicino il tavolo e, insieme all’orchestra, cresce d’intensità, finché tutti i partecipanti si protendono verso l’interprete solista e lo sommergono con le braccia. Béjart mutò varie volte questa formula: sostituì la donna sul tavolo con un uomo a torso nudo circondato, a sua volta, da altri uomini, oppure da donne; sostituì il coro danzante con strumentisti. Ravel aveva trasformato il bolero – danza spagnola di fine Settecento in tempo ternario moderato – in un motivo ripetuto ossessivamente sino al parossismo incandescente del finale.