Come si chiamano i Romeo e Giulietta dei nostri tempi? Alia e Ali, hanno 34 e 29 anni e sono due sposi tunisini. Dove si trovano? Reclusi nel Cie (Centro di identificazione e espulsione) di Ponte Galeria a Roma, quello della protesta delle bocche cucite, tra sbarre alte sette metri, lucchetti, porte blindate, guardie armate e luce sempre accesa «per ragioni di sicurezza», anche quando si vorrebbe riposare. Perché? Sono colpevoli di essersi innamorati e di aver voluto salvarsi scappando via mare dalla violenza della famiglia salafita di lei. Non potevano fare altrimenti: dalla Tunisia non è possibile ottenere un visto per l’Europa, serve sfidare la sorte e le onde del Mediterraneo. In Tunisia, la famiglia di Alia si opponeva al matrimonio con Ali, perché l’aveva promessa in sposa a un estremista salafita molto più vecchio, che lei non ha mai conosciuto. Per questo i fratelli l’hanno torturata: sul braccio ha una ferita profonda, ma quella del cuore fa ancora più male.
Rischiano di essere imbarcati su un aereo contro la loro volontà, come accadde ad Alma Shalabayeva e a sua figlia Alua. Anche in questo caso, pur avendo chiesto la protezione internazionale, hanno ricevuto un rifiuto. Quando ha saputo del rigetto della domanda di protezione e della contemporanea espulsione di due tunisini che protestavano con le bocche cucite, Alia ha temuto di essere rimpatriata a Tunisi e, due giorni prima di Natale, ha tentato il suicidio, impiccandosi nel bagno della sezione femminile con le lenzuola del letto. Ora, dopo il gesto estremo, marito e moglie possono incontrarsi per brevi momenti, stringersi la mano. Ma sempre controllati e spiati a vista, perché nel Cie non esiste privacy per i detenuti (anzi, il Ministero li chiama “ospiti”).
La loro storia è stata fatta conoscere dalla giornalista Raffaella Cosentino e dalla campagna LasciateCIEntrare, mentre alcuni deputati Pd e Sel (Luigi Manconi, Ileana Piazzoni e Nazzareno Pilozzi) hanno scritto al presidente della Repubblica Napolitano, segnalando il caso e chiedendo un suo intervento sui Cie. «Questa storia non è l’eccezione, nei Cie si finisce a prescindere dalle vicende personali» spiega Oria Gargano, presidente di BeFree, ong che opera per aiutare le donne rinchiuse a Ponte Galeria. Ma quella di Romeo e Giulietta di Ponte Galeria è una storia che va oltre il Cie, che ha un prima e un preoccupante dopo, un dentro e un fuori la gabbia.
Insomma, i numeri del Viminale (7.944 nel 2012) tornano ad essere uomini e donne in carne. Tra i compagni di detenzione di Ali, ci sono padri di famiglia che hanno perso il lavoro e non possono rinnovare il permesso, giovani da poco entrati in Italia alla ricerca di un futuro migliore, altri cresciuti invece in Italia che parlano con accento romano. C’è il “traduttore” del video Lassaad e il ragazzo a cui manca la fidanzata, che al Prenestino l’ha visto dal balcone, con le uova in mano, mentre i poliziotti lo arrestavano perché senza permesso di soggiorno.
Nella sezione femminile, tra le compagne detenute di Alia, ci sono donne nigeriane vittime di abusi e prostitute cinesi che saranno probabilmente abbandonate nuovamente sulla strada (la Cina non collabora ai rimpatri), madri che le grate hanno strappato dai figli e dai mariti. C’è una signora ucraina di una certa età, arrivata in Italia per pagare le medicine alle figlia malata, arrestata una sera alla mensa dei poveri e portata a notte fonda a Ponte Galeria. La vecchietta a cui da anni faceva da badante in nero diceva che avrebbe voluto regolarizzarla, ma…