Heraklion in Grecia, Obrnice nella Repubblica Ceca e Kocaeli in Turchia hanno ricevuto a Strasburgo il Premio “Dosta!” per le municipalità. “Dosta” vuol dire “basta” in lingua romanes ed è il titolo della campagna di sensibilizzazione per combattere pregiudizi e stereotipi sui rom e sinti che il Consiglio d’Europa promuove dal 2010.
Nella cittadina ceca, dove il 45% dei 2.300 abitanti è rom, sono stati premiati i progetti su scuola, lavoro, servizi sociali, sicurezza e attività ricreative che facilitano l’incontro tra rom e non rom, sviluppando un senso di appartenenza alla comunità e abbattendo così i pregiudizi. Nell’isola di Creta, si è invece puntato sulla scolarizzazione (i rom sono un popolo giovanissimo; in Italia, il 60% è minorenne), mentre in Turchia la municipalità ha organizzato un Festival con teatri e orchestre per promuovere il dialogo interculturale.
Secondo il Consiglio d’Europa, la prima sfida che si pone ai territori è integrare politiche sociali e politiche culturali. Nel Vecchio continente, le comunità rom si collocano al di sotto di quasi tutti gli indici di sviluppo sui diritti umani: otto famiglie rom su 10 sono a rischio povertà, solo un rom su sette ha terminato le scuole di secondo grado. Spesso la loro presenza diventa causa di conflitto, che può trovare una soluzione positiva solo se è “gestita” in una direzione d’inclusione.
Tuttavia, la loro promessa fondamentale è l’altissimo tasso di diffidenza nei confronti di queste popolazioni, l'ignoranza e i luoghi comuni consolidati nell'immaginario delle società maggioritarie.
Quando si pensa a questo popolo, prevalgono in particolare due modi di immaginare la loro cultura. Una è quella romantica: nomadi e anarchici che viaggiano per l’Europa cantando antiche canzoni ed incrociandosi con parenti gitani in Spagna o in villaggi Balcani alla “Kusturica” (sempre ballando e bevendo). L’altra è quella negativa: ladri, nullafacenti, parassiti, ruba-bambini, droga-bambini, chiedi-elemosina, violenti, e via di questo passo.
La realtà non è né l’una, né l’altra. In Italia, sono appena 160mila, non più nomadi, la metà ragazzini, la metà di tutti addirittura italiani. Ma anziché riflettere su questi dati, si ragiona sempre per miti che invece andrebbero sfatati.
Si pensi ai recenti casi di presunti “furti di bambini”. È successo per ben due volte ad ottobre: prima in Grecia e poi in Irlanda. Nel primo caso, è emerso che la piccola in questione, Maria, non era figlia dei rom che la stavano allevando come tale, ma che era stata affidata alla coppia da una famiglia, sempre rom, troppo povera per mantenerla. Mentre nel secondo caso, la bimba, 7 anni, dopo aver passato alcune notti in mano ai servizi sociali irlandesi ed essersi sottoposta all’esame del dna, è risultata al 100% “sangue del sangue” della famiglia con cui viveva.
Se proprio di rapimento bisogna parlare, a “rapirla” erano state le autorità di Dublino. Come spesso succede con i rom, dopo il caso greco, le istituzioni irlandesi si erano fatte prendere da una psicosi contagiosa.
Eppure, questo pregiudizio sui rom è smentito dai fatti. In Italia, una ricerca di Sabrina Tosi Cambini, finanziata dalla Fondazione Migrantes, ha verificato ogni singolo caso di presunto rapimento imputato a persone rom e sinti in Italia tra il 1985 e il 2007: nessuno è stato accertato. Ma tutti presentano le stesse caratteristiche: sono episodi al femminile; la madre o una parente accusa una donna rom di aver tentato di rapire il bambino e sostiene di averlo impedito; il “fatto” avviene in un luogo affollato, ma senza testimoni né alcuno che intervenga ad aiutare la madre.
Secondo la ricercatrice, che richiama le ricerche psicologiche sulla percezione, ci sono questi elementi comuni perché i “fatti” sono il frutto di eventi travisati a causa delle nostre aspettative sugli “zingari” («rubano i bambini»). E così il pregiudizio diventa il filtro attraverso il quale leggiamo la realtà.