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sabato 05 aprile 2025
 
LA STORIA
 

Perché il Tour de France parte dall'Italia e chi è Ottavio Bottecchia

29/06/2024  In onore del due volte vincitore del Giro di Francia, la prima un secolo fa, la partenza esotica della corsa gialla e una mostra a Spilimbergo

Quest’anno il Tour de France parla almeno un po’ “italiano”: la corsa gialla il 29 giugno 2024 parte da Firenze, secondo una consuetudine ormai invalsa, un po’ per ragioni di sponsorizzazione un po’ per lo spunto di occasioni esotiche, negli ultimi anni di far partire i grandi giri a tappe oltre il confine previsto dal nome. Sono italiane le prime tre tappe del Tour. Da Firenze si snodano le prime tre tappe, tutte italiane: sabato 29 giugno, la prima: Firenze-Rimini. Domenica 30 giugno la seconda Cesenatico- Bologna. Lunedì 1 luglio la gara prenderà il via da Piacenza per approdare a Torino. Martedì 2 luglio, infine, il Tour partirà da Pinerolo per varcare le Alpi e approdare attraverso Sestriere e Clavière sul suolo francese. Anche l'Olimpiade influenzerà il Tour 2024, che il 21 luglio non arriverà a Parigi come al solito, ma a Nizza, per evitare di sovrapporsi all'organizzazione dell'Olimpiade per ragioni di ordine pubblico, dato che il tripode di Parigi 2024 si accenderà il 26, appena cinque giorni dopo. 

L’occasione della partenza italiana è l’omaggio a Ottavio Bottecchia, primo vincitore italiano del Giro di Francia, correva l’anno 1924, lo stesso di un’altra Olimpiade parigina (la seconda delle tre 1900, 1924, 2024). Bottecchia era nato a San Martino di Colle Umberto (Treviso) nel 1894, da una famiglia in cui la fame si tagliava a fettine. La gavetta in bicicletta l’aveva fatta durante la Durante la Grande Guerra arruolato nel 6° battaglione Bersaglieri ciclisti. Tornò decorato con il grado di caporale. Così lo ricorda l’associazione nazionale reduci e combattenti: «Durante il conflitto combatté sul Carso, con alterne fortune, contrasse la malaria, respirò gas tossici e fu anche fatto per tre volte prigioniero dagli austriaci, riuscendo però sempre a scappare, ma avvicinandosi all'uso della bicicletta, grazie al ruolo di "esploratore d'assalto", e appassionandosene. Si distinse anche nelle fasi della resistenza sul Piave, nel giugno e nell'ottobre 1917, con atti di eroismo, a Lestans di Sequals, che al termine della Guerra gli valsero la decorazione con la Medaglia di Bronzo al Valore Militare con la motivazione: «Con calma ed ardimento, sotto violento fuoco nemico aggiustava tiri efficacissimi e falcianti con la propria mitragliatrice, arrecando gravi perdite all'avversario e fermandone l'avanzata. Costretto più volte ad arretrare, incurante del pericolo portava seco l'arma e tornava a postarla aprendo sempre un fuoco violento sul nemico. Lestans, 4 novembre 1917».

Accadeva durante la ritirata di Caporetto. Quasi una prosecuzione con altri mezzi, dopo, andare a vincere nell’unico sport dove scriveva Gianni Mura: «Chi fugge non è un vigliacco».

Al ritorno correre era anche un modo per portare a casa, ormai fissata in Friuli, “schei”, e all’inizio anche il rifornimento in corsa, per placare la fame dei suoi, a rischio come anche è accaduto di cuocersi per la crisi di fame: alla prima Sanremo ricorda Maurizio Crosetti nel suo campionissimi, un giorno nella vita di trenta grandi ciclisti: «Il sacchetto intatto del pasto (tortelli di riso, mezzo pollo, marmellata e zucchero), l’aveva portato a casa tormentandolo con le mani sul sedile di terza classe: «Cussì i pol magnar calcossa».

Nel 1923, il suo primo anno da professionista dopo uno da dilettante, quinto al Giro, andò al tour ingaggiato da Automoto, a fare il gregario ai fratelli Pelissier, ma era un gregario che non stava ail suo posto: già alla seconda tappa vinceva e prendeva la maglia gialla. Finì secondo in classifica generale e l’anno successivo vinse il Tour, con un’unica cavalcata in giallo dalla prima all’ultima tappa con 35 minuti sul lussemburghese Frantz, l’anno dopo rivinse la corsa (con 4 vittorie di tappa) e un’ora sul Belga Buysse.

Claudio Gregori che gli ha dedicato qualche anno fa una corposa biografia-romanzo Il corno di Orlando Il corno di Orlando. Vita, morte e misteri di di Ottavio Bottecchia, 66Th2nd, fa spesso notare come la sua carriera spettacolare si sia concentrata in appena cinque anni, con risultati quasi paragonabili a quelle ventennali di Coppi e Bartali.

La vita non è stata clemente, il 1926 lo ha costretto a fermarsi a lungo per il riacutizzarsi di una malattia contratta in guerra, l’inizio del 1927, lo ha bloccato un incidente alla vigilia della Milano-Sanremo. Stava ricominciando, ad allenarsi, quando un gruppo di contadini lo ha trovato ferito su una strada di Peonis, lungo il Tagliamento, dove abitualmente si allenava: era il 3 giugno 1927. Lo caricarono sul carro e lo portarono con la testa rotta all’ospedale di Gemona dove morì senza riprendersi il 15 giugno. Sulla sua morte corrono una quantità di leggende, Gregori ne ha contate una quindicina.

Chi dice che sia stato un agguato politico, chi la vendetta di un contadino per un grappolo d’uva, chi una ritorsione per gelosia, chi una banale caduta solitaria a finire una vita leggendaria. Nel Paese dov’è nato lo ricorda un museo. Il Giro 2024 ha fatto arrivare una tappa a Peonis, la sua ultima prima del cielo. 

IL CICLISMO DI ROBERT CAPA, IN MOSTRA A SPILIMBERGO

A Spilimbergo (Pordenone), il 6 luglio si apre la mostra Tour de France di Robert Capa e altri fotografi della Magnum, organizzata dal CRAF_Centro di Ricerca e Archiviazione della Fotografia con Suazes e Magnum Photos, nella sede di Palazzo Tadea. Un omaggio alla storia del ciclismo e anche a Ottavio Bottecchia, “el furlan de fero”, caduto a una manciata di km da lì.

Un giro di Francia in 80 immagini dei maestri dell’agenzia fotografica Magnum, che esplorano la dimensione umana che fa del ciclismo uno degli sport più popolari. Raccontando le epopee dei campioni e delle grandi manifestazioni internazionali, Tour de France in primis, ma anche la quotidiana, straordinaria umanità di campioni e del grande pubblico che ai bordi delle strade e al traguardo li sostiene. La mostra si apre con una serie, poco nota, di foto realizzate da Robert Capa nel 1939 inviato al Tour da Match. Un’altra serie raccoglie foto realizzate da Guy Le Querrec nel Tour de France del 1954; all’epoca il fotografo aveva solo 13 anni e si trovava in Bretagna per passare le vacanze estive e dove, in quell’edizione, passava la celebre corsa ciclistica. Circa 30 anni dopo, nel 1985, il fotografo venne invitato a seguire la squadra ciclistica della Renault-Elf durante gli allenamenti invernali; in questa stagione scattò foto di Laurent Fignon e seguì il campionato di ciclocross. Il percorso prosegue con fotografie Christopher Anderson dedicate al ciclista Lance Amstrong nel 2004 che suggeriscono il triste epilogo della carriera di questo sportivo per doping.

Una sezione sarà dedicata agli spettatori, i souiveur con i loro riti con foto di Mark Power, Robert Capa, Harry Gruyaert e Richard Kalvar. Poi le immagini realizzate dal fotografo francese Harry Gruyaert nel Tour del 1982 e una sezione dedicata ai velodrom, con immagini di René Burri, Stuart Franklin e Raymond Depardon. Il fotografo italiano Alex Majoli sarà presente con delle fotografie dedicate al celebre produttore di bici milanese Alberto Masi con sede del suo laboratorio sotto le curve del Velodromo Vigorelli. Infine una selezione di immagini di Peter Marlow dedicate a frammenti di quotidianità dei corridori impegnati nel giro della Bretagna nel 2003.

La mostra che chiuderà i battenti domenica 29 settembre (da martedì a venerdì 14.00-20.00 e sabato domenica 11.00-20.00 con ingresso gratuito) sarà accompagnata da un catalogo curato da Alvise Rampini e Marco Minuz, edito da Silvana Editoriale.

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