Fin dalle prime ore del mattino si sono radunati davanti all’ex basilica per partecipare alla prima solenne preghiera islamica del venerdì, officiata dal responsabile della Presidenza per gli Affari religiosi, a Santa Sofia riconvertita in moschea dopo 86 anni, da quando nel 1934 Atatürk per decreto la trasformò in museo facendola diventare simbolo di dialogo e di confronto tra religioni. Al raduno sono state invitate mille persone, sotto la stretta sorveglianza di 20mila agenti e 700 operatori sanitari, per garantire il rispetto delle misure precauzionali contro il Covid-29. Ad un certo punto l’area predisposta per l’accoglienza dei fedeli sè è riempita interamente, gli accessi sono stati bloccati e tantissime persone sono rimaste fuori dal luogo di culto. Tante le bandiere turche che sono state sventolate tra la folla raccolta in preghiera. Certamente Istanbul non aveva bisogno di un’altra moschea (la città ne conta oltra tremila). L’evento di oggi ha avuto un significato prima di tutto politico e nazionalistico, oltre che religioso. Presente, ovviamente, in prima fila il presidente Erdogan, per celebrare la “riconquista” della grandiosa basilica bizantina, come avvenne nel 1453 ad opera degli Ottomani. Per l’occasione, le Poste turche hanno diffuso due francobolli speciali, a suggellare l’importanza simbolica della trasformazione di Santa Sofia in moschea. Per la preghiera islamica, i mosaici e le icone bizantini sono stati coperti. Santa Sofia rappresenta uno dei luoghi più conosciuti e visitati di Istanbul e della Turchia: lo scorso anno il museo è stato visitato da più di 3 milioni e mezzo di turisti da tutto il mondo. Con la conversione in moschea, bisognerà vedere se il flusso turistico resterà immutato o se sarà ridimensionato.