Schutz è nato nel 1957 in Israele da una famiglia di profughi tedeschi fuggiti in Palestina negli anni Trenta, pochi mesi prima dell’inizio della seconda guerra mondiale. “La loro scelta di lasciare la Germania per andare prima in Polonia e poi nella Palestina sotto mandato britannico fu un mix felice di fortuna e di intuito”, ci ha detto l’ambasciatore. “Mia mamma”, confida Schutz, “oggi ha 91 anni, vive vicino a Tel Aviv e diversi indizi ci fanno pensare che da bambina abbia frequentato lo stesso kindergarten di Anna Frank, a Francoforte”.
Raphael Schutz è entrato nel Servizio Diplomatico del Ministero per gli Affari Esteri nel 1983. Il suo primo incarico è stato in Cile, poi è stato ambasciatore in Colombia, Spagna e Norvegia. L’ambasciatore Schutz ha presentato le sue credenziali a Papa Francesco lo scorso novembre. “Il nostro”, racconta, “è stato un incontro molto cordiale, anche perché abbiamo parlato in spagnolo e il Papa era molto a suo agio”.
IL TESTO COMPLETO DELL'INTERVISTA TRADOTTA
(guarda l'intervista su YouTube con i sottotitoli in Italiano)
«Direi che ci sono una paio di punti di cui bisogna parlare nel contesto del 27 gennaio.
Il primo è trasmettere la conoscenza della storia recente a popoli e angoli del mondo che non hanno mai avuto modo di conoscerla.
Poi credo sia importante parlare di questa memoria ancora e ancora, di fronte alle pericolose tendenze del negazionismo o della relativizzazione dell'orrore dell'Olocausto.
Il terzo punto, che reca con é una speciale importanza in Europa, è che questo genocidio... sfortunatamente ne sono stati altri compiuti dall'umanità, durante il ventesimo secolo, e perfino nei nostri tempi, in cui assistiamo a scene terribili... questo genocidio è stato "speciale" in questo senso, perché è avvenuto nel cuore d'Europa, nel cuore della civiltà, quindi dobbiamo essere consapevoli del fatto che civiltà avanzate, le cosiddette culture avanzate, non ci rendono immuni da atrocità terribili, il male esiste ovunque, bisogna riconoscerlo e agire di conseguenza.
Perciò direi che queste sono tre lezioni, forse universali, accanto a cui ce n'è una specifica... da figlio di Ebrei tedeschi e da Israeliano, c'è una lezione per me e per la mia gente, e cioé che non dobbiamo sentirci soddisfatti della nostra sopravvivenza non dobbiamo prenderla per garantita, e trarre le giuste conclusioni da quanto ci accadde non così tanti anni fa.»