(Foto sopra scattata da Roberto Ponti: Luca Attanasio in Congo con un collaboratore della Comunità di Sant'Egidio)
Verso mezzogiorno di oggi, lunedì 22 febbraio, messaggi allarmati di amici da Kinshasa, in Congo, hanno segnalato la morte di Luca Attanasio, 43 anni, ambasciatore d’Italia, originario di Limbiate (MB). Faceva parte di un gruppo di diplomatici in visita nell’Est della Repubblica Democratica del Congo, con base a Goma. Luoghi dove la natura è incantevole, ma dove la tensione è palpabile. I confini condivisi tra Congo, Uganda e Ruanda facilitano le incursioni di bande armate. Secondo le prime notizie, il convoglio del PAM (Programma Alimentare Mondiale) è stato attaccato a Kanyamahoro, nel territorio di Nyirangongo, nome del vulcano che sovrasta Goma, il capoluogo del Nord Kivu, da cui dista una ventina di chilometri.
La jeep con a bordo Luca Attanasio è stata colpita duramente e l’ambasciatore, il carabiniere sua guardia del corpo, Vittorio Iacovacci, e l’autista, feriti a morte. Portati con mezzi di fortuna a Goma, presso l’ospedale della MONUSCO, la missione ONU per la RDC che da diversi decenni cerca di essere forza di pace nel Paese, nulla è stato possibile per salvare le loro vite. Le informazioni sulle motivazioni di questo attacco sono ancora frammentarie; forse un tentativo di sequestro, forse proprio l’ambasciatore e la sua funzione nel mirino degli assalitori. Nelle prossime ore ci saranno più dettagli, ma probabilmente sarà difficile stabilire velocemente la verità dei fatti, come spesso accade in circostanze simili.
Luca Attanasio era anzitutto un amico, non solo della comunità italiana e della diplomazia internazionale di stanza a Kinshasa. Aveva iniziato il suo servizio in Congo nel 2017 come incaricato d’affari per le tensioni allora esistenti tra Congo e Italia. Nel 2019 aveva assunto in pieno le sue funzioni. Grande dolore e costernazione. Le immagini dell’ambasciatore esanime toccano fortemente.
Un ambasciatore porta tutto un Paese nella sua persona e Luca svolgeva questo compito senza gli orpelli del ruolo, piuttosto mettendo in gioco tutta la sua ricchezza umana, la sua formazione, la sua esperienza. Con il suo piglio giovanile aveva ridato smalto alle attività dell’ambasciata italiana. Insieme a sua moglie era molto attento alle attività sociali e la sua presenza si è fatta sempre notare nei centri di promozione sociale, soprattutto quelli gestiti da missionari e missionarie italiani, dove portava il suo aiuto concreto. Oltre all’attività diplomatica e di cooperazione, alle cerimonie per l’annuale Festa della Repubblica ogni 2 giugno, l’ambasciatore amava radunare con amabilità amici e collaboratori, italiani e non, attorno alla cultura italiana.
Ricordo la visita che l’ambasciatore e la sua famiglia (la moglie, Zakia Seddiki, di nazionalità marocchina e tre bambine) fecero in occasione del Festival del Libro e della Bibbia che Paolini e Paoline organizzano a Kinshasa. Lasciata a piedi la loro residenza, a pochi passi dalla piazza, sede del Festival, nel cuore della capitale, con semplicità, senza annunciare la loro presenza, si erano fermati a osservare gli stand degli editori. Una volta riconosciuti, non si sono sottratti alle foto di rito. Una semplicità che si poteva scorgere anche in un aspetto personale, quello della sua fede cattolica, manifestato nella partecipazione in varie celebrazioni.