L’aumento dell’aspettativa di vita e il calo delle nascite stanno trasformando le caratteristiche della popolazione italiana che, di anno in anno, invecchia. Se questo è una fortuna da un certo punto di vista (si riesce a vivere di più, con una qualità della vita migliore rispetto al passato), è allo stesso tempo una vera e propria sfida sociale, che si porta dietro anche una serie di nuove opportunità.
A fare il punto della situazione di quanto sta accadendo nel nostro Paese è un recente studio di KPMG dal titolo Trend demografici e nuovi bisogni assicurativi, che ha messo in evidenza come la crescita della popolazione anziana, a fronte di una minore natalità, contribuisca a ridefinire completamente il tessuto sociale ed economico del nostro Paese. Ma soprattutto cambia i bisogni assicurativi.
I numeri della ricerca mettono in evidenza il costante invecchiamento della popolazione: nel 2023 c’erano 14,2 milioni di over 65: nel 2040 saranno 18,8 milioni (siamo di fronte a una crescita del 4,6%). Massimiliano Dalla Via, amministratore delegato e direttore generale di Intesa Sanpaolo Protezione, spiega che tutte le statistiche sono univoche: «C’è un inverno demografico. Con una natalità vicina allo zero, la popolazione è destinata a invecchiare. Ci dobbiamo preparare a vivere più a lungo e ad affrontare dei bisogni che cambieranno nel corso del tempo».
Da un punto di vista strettamente pragmatico, l’invecchiamento della popolazione si trasforma in una sfida che tocca individualmente ogni persona. Ma un’aspettativa di vita più lunga come si traduce nella speranza di vivere bene e in salute?
«È importante iniziare a pensarci il prima possibile, investendo in uno stile di vita salutare: prevenire è sempre meglio che curare. Anche attraverso delle visite di prevenzione, grazie alle quali avere un quadro clinico completo e delle diagnosi accurate sul proprio stato di salute. In questo modo si riesce ad avere un comportamento positivo, che avrà un buon impatto sul benessere generale».
A chi affidare questa strategia?
«Non esclusivamente al pubblico, ma appoggiandosi anche al privato, che non dovrà sostituire il Servizio sanitario nazionale, ma lo dovrà affiancare. In questo contesto un ruolo importante lo avranno le assicurazioni sanitarie, che potranno offrire un ottimo supporto per la prevenzione. In futuro, poi, saranno un valido alleato per proteggere le persone dalla non autosufficienza. Per riuscire ad affrontare nel modo migliore gli anni che passano è necessario giocare d’anticipo. Prima si inizia meglio è. Già a 40 anni è importante iniziare a pianificare economicamente il proprio futuro sanitario, in modo da non trovarsi completamente impreparati quando si è avanti con l’età».
Attualmente gli iscritti totali alla previdenza complementare rappresentano circa il 36% delle forze di lavoro. Cosa frena l’adesione dei lavoratori italiani?
«C’è un gap generazionale: gli under 40 non hanno la percezione di quello che potrà essere la loro pensione quando finiranno di lavorare. Ci si inizia a pensare solo dopo, quando è troppo tardi. Purtroppo i giovani sono portati a spendere oggi, senza pensare al proprio futuro previdenziale».
Ma quanto incidono le condizioni di lavoro precarie dei giovani sulla loro non volontà di investire nella previdenza complementare?
«Il precariato è, indubbiamente, un ostacolo. Ma spesso manca una cultura finanziaria: per questo servono delle forti campagne di educazione. All’estero anche i più giovani hanno un’assicurazione sanitaria e pensano alla previdenza complementare da subito: una cultura differente che nasce da un sistema sanitario organizzato, spesso e volentieri, in maniera differente. Detto questo, gli investimenti nella previdenza complementare dovrebbero essere sempre una percentuale del proprio stipendio, in modo da poter costruire una base di partenza. Man mano che i guadagni crescono nel corso della carriera, mantenendo una percentuale costante, aumentano anche gli investimenti che vengono effettuati».
Quanto incide l’inflazione sulla volontà/capacità di investire nella previdenza complementare?
«In questo momento lasciare i soldi sul conto corrente è sbagliato. I rendimenti dei fondi pensione creano sempre più valore rispetto all’inflazione: in questo modo i risparmi non perdono il potere d’acquisto».
Le risorse destinate alle forme pensionistiche complementari rappresentano il 4% delle attività finanziarie delle famiglie italiane. A quanto dovrebbero ammontare per costituire un investimento ottimale per il futuro?
«Non esiste una percentuale giusta: dovrebbe costituire una spesa fissa. Anche se definire l’investimento nelle forme pensionistiche complementari in questo modo non è corretto, perché bisogna essere consapevoli che si tratta di una spesa essenziale per il futuro, che, come abbiamo detto prima, deve iniziare fin da giovani, in modo da accumulare una buona base economica per quando ne avremo bisogno».
Cambia la struttura delle famiglie. Nel 2023 c’erano 8,9 milioni di persone sole, che dovrebbero arrivare a 9,8 milioni entro il 2042. In quale modo questo andrà a impattare sulla sicurezza economica e sulle necessità assistenziali dei diretti interessati?
«La famiglia sta cambiando: aumentano i single per scelta o per necessità. Purtroppo vivere da soli aumenta i rischi: quando si diventa non autosufficienti, spesso manca il supporto dei nostri cari anche per la gestione delle pratiche quotidiane. A maggior ragione chi si trova in questa situazione deve crearsi i supporti economici che possano sostenerlo nel momento del bisogno. Un’assicurazione sanitaria, grazie alla quale sia possibile ottenere il supporto assistenziale quando serve, è una delle soluzioni che si possono adottare quando non ci sono dei familiari che possano sopperire alle mancanze».
Quanto è importante iniziare ad avere una buona copertura sanitaria integrativa per far fronte a ciò che il welfare pubblico non è più in grado di garantire?
«Partiamo da un presupposto: il Servizio sanitario nazionale è un’eccellenza. Le assicurazioni non costituiscono un’alternativa, ma devono colmare le carenze che si sono venute a creare nel corso del tempo, come le liste d’attesa troppo lunghe. Quando si arriva a una certa età aspettare troppo diventa realmente problematico. La sanità complementare non è una soluzione per ricchi. Bisogna sfatare questo mito: in questo campo vige il principio della mutualità. Viene versato un premio periodico per andare a coprire la propria polizza, ma anche per aiutare gli altri iscritti».