a cura di Chiara Pelizzoni
Partito dalla Costa d'Avorio, Mamadou Kouassi - a cui è ispirato il capolavoro di Matteo Garrone Io capitano che ha vinto il David di Donatello 2024 come miglior film - è stato salvato dalla Guardia costiera e attraverso un percorso di inclusione ha trovato lavoro. Dal palco dei David di Donatello ha ringraziato Caserta che l'ha accolto, «le ong che salvano le vite in mare e in terra e le associazioni che costruiscono ponti e giustizia sociale», oltre a chiedere «la fine della guerra in Palestina».
Ripubblichiamo l'intervista che Annachiara Valle gli ha fatto in marzo, mentre era negli Stati Uniti in attesa della notte degli Oscar.
di Annachiara Valle
«È una storia che racconta altre storie. In un film non si può dire tutto, ma ci sono dei passaggi chiave per far luce sui sogni e le fatiche e per arrivare al cuore della gente». La voce di Mamadou Kouassi, 40 anni, arriva incisiva e suadente dall’altra parte del mondo. Negli Stati Uniti, in attesa della notte degli Oscar, con Matteo Garrone sta girando per le città per parlare di Io Capitano (nella cinquina finale per il miglior film straniero, già Leone d’argento per la regia al Festival di Venezia) e per raccontare, oltre al viaggio per raggiungere l’Europa, anche il lavoro sui diritti e l’accoglienza che si fa a Caserta.
«Oggi sono un mediatore culturale. Con il Centro sociale Ex canapificio abbiamo aperto uno sportello a Castel Volturno per assistere i migranti nella richiesta del permesso di soggiorno e per combattere lo sfruttamento lavorativo. Siamo attivi in città nell’inclusione bilaterale, cioè in tutti quei progetti che coinvolgono nuovi arrivati e cittadini per la valorizzazione del territorio», dice Mamadou. Parla, per esempio, del progetto Piedibus, dove gli extracomunitari hanno fatto da “autisti” nel percorso che porta i bambini da casa a scuola seguendo le orme sui marciapiedi. Partito dalla Costa d’Avorio insieme a suo cugino, nel 2005, è riuscito ad arrivare in Italia nel 2008.
«Sono stato salvato dalla Guardia costiera italiana e oggi ho la possibilità di raccontare quello che ho vissuto: il deserto, la morte, le torture in Libia... Parlo anche per chi non ce l’ha fatta. Io sono stato fortunato. Da Lampedusa sono stato portato a Roma, sono stato aiutato dal Centro Astalli, dei gesuiti, poi sono andato a Caserta dove mi avevano detto che c’erano altri migranti. Ho fatto il bracciante a Foggia, a Rosarno, a Caserta. Poi, finalmente, il permesso di soggiorno. Ma soprattutto, quando ancora c’erano gli Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), ho potuto seguire un percorso di integrazione. Oggi, con le nuove leggi, non è più così. Questi percorsi di inclusione non esistono più».
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Un'immagine dal film "Io Capitano"
Caserta, che è stata un fiore all’occhiello per l’inclusione, oggi vive una situazione disperata. «Da quando il Comune è uscito dal sistema dell’accoglienza si è fatta forte la pressione sulla Caritas per sistemare chi arriva, ma non ci sono più strutture. I migranti finiscono nei Cas (Centri di accoglienza straordinaria), senza alcun percorso di integrazione», denuncia Virginia Anna Crovella, attivista dell’Ex canapificio. «Quanti Mamadou stanno arrivando sul nostro territorio e non avranno le opportunità che ha avuto lui?», si chiede. «Non sarei quello che sono senza le persone che mi hanno aiutato», conferma lui. Parla dei suoi sogni, del progetto di continuare gli studi in lingue, di diventare un calciatore, «mentre mio cugino sognava di essere un cantante», di tutte le difficoltà di quel viaggio «che oggi sconsiglio ai miei fratelli. Sono tornato in Costa D’Avorio nel 2018, mia madre non c’era più, non l’ho più rivista dopo la mia partenza. L’Europa non è quella che sognavamo. Ho vissuto razzismo, difficoltà di ogni genere. Ma sono stato fortunato. Nel 2020 mi hanno messo in contatto con Matteo Garrone, che voleva fare un film sui migranti. Gli ho raccontato la mia storia, abbiamo cominciato a scriverla insieme. E adesso siamo qui. Da metà aprile gireremo l’Africa partendo dal Senegal con un caravan. Abbiamo pensato a una ventina di tappe nei villaggi, nelle città. Proietteremo il film e racconteremo. La gente deve sapere a cosa va incontro. E l’Europa e l’Africa devono pensare a leggi che consentano di viaggiare, di rispettare i diritti umani, di poter vivere dignitosamente nel proprio Paese».