Il suo sorriso buono, gentile, quello di un amico che sta per incontrarsi con degli amici, prima ancora delle parole, hanno creato fra Papa Leone XIV e la piazza che lo applaudiva un’atmosfera di famiglia. Come se si fosse affacciato sulla porta delle nostre case e avesse chiesto di poter entrare, commosso e consapevole che il suo predecessore aveva lasciato un vuoto incolmabile.
In quest’atmosfera colloquiale, l’appello alla pace che ha fatto da filo conduttore al suo primo discorso, una pace disarmante e disarmata, il suo Dio che vuole bene a tutti senza alcuna esclusione, l’invito a camminare insieme, prendendoci per mano, a rimanere uniti senza paura, ha creato una comunità. Ha colmato le distanze non soltanto fra il Pastore e i suoi fedeli, ma anche con chi pratica altri territori e lontananze.
Ha creato una fratellanza universale, nella luce di una Chiesa sinodale e missionaria, in uscita verso il mondo intero, che costruisce ponti con il dialogo, l’incontro. Tutti uniti per essere un solo popolo, sempre in pace. Una Chiesa che non è istituzione, ma cuore pulsante verso chi soffre, chi è dimenticato, i poveri, verso i fratelli vicini e lontani.
Come non avvertire in queste parole un invito a ricominciare tutti insieme, credenti e non credenti, dall’eredità viva e tangibile che Francesco ci ha lasciato e che Papa Leone dimostra di voler raccogliere e rilanciare?
E infine l’Ave Maria, recitata insieme alla piazza, è stato un momento molto bello, intimo e di buon auspicio per una rinnovata presenza del mondo femminile non funzionale ma creativa e collaborativa in una Chiesa che accoglie e accompagna tutti, credenti e non credenti, con tenerezza di madre