Una famiglia di religione ebraica raccolta in preghiera. In alto: papa Francesco con il Rabbino capo di Cipro durante un incontro a Nicosia, 3 dicembre 2021. In copertina: papa Francesco in Sinagoga, a Roma, il 18 gennaio 2016, terzo Pontefice a recarsi lì dopo Giovanni Paolo II, il 13 aprile 1986, e Benedetto XVI il 17 gennaio 2010. Tutte le foto sono dell'agenzia Ansa.
Oggi ricorre la Giornata del dialogo tra cattolici ed ebrei nata oltre trent’anni fa, precisamente il 28 settembre 1989. È un frutto della Dichiarazione conciliare Nostra Aetate del 28 ottobre 1965 che ha radicalmente cambiato duemila anni di avversione nei confronti degli ebrei. Una storia contrassegnata da secoli di antigiudaismo religioso, di teologia della sostituzione e di insegnamento del disprezzo che hanno scavato profondamente nei cuori e nelle menti dei cristiani, generando autentiche tragedie. Come la strage di ebrei in Europa della Prima Crociata del 1096, cui seguirono espulsioni generalizzate in vari Paesi: dalla Gran Bretagna alla Francia e alla Spagna. Sono secoli di diritti violati, di leggi speciali come l’istituzione del ghetto voluta da Paolo IV nel 1555. Per non parlare delle migliaia di uomini e donne arsi vivi sui roghi dell’Inquisizione, semplicemente perché accusati di essere criptogiudei. All’origine di tanto odio vi è l’accusa di deicidio rivolta a tutto il popolo ebraico in qualsiasi luogo, in ogni tempo. Per quasi duemila anni i rapporti tra ebrei e cristiani sono stati caratterizzati da una maggioranza che ha costretto una minoranza, spesso sparuta, a vivere in una sostanziale condizione di inferiorità giuridica e sociale. Dal Codice teodosiano dei primi secoli della cristianità fino alle Leggi razziali del 1938 si contano centinaia di migliaia di provvedimenti discriminatori che hanno reso la vita della comunità ebraiche a volte impossibile. La Commissione vaticana per i rapporti con l'ebraismo nel documento “Noi ricordiamo, una riflessione sulla Shoah” del 16 marzo 1998, ha detto chiaramente: «Il fatto che la Shoah abbia avuto luogo in Europa, cioè in Paesi di lunga civilizzazione cristiana, pone la questione della relazione tra la persecuzione nazista e gli atteggiamenti dei cristiani, lungo i secoli, nei confronti degli ebrei».
Ecco perché il dialogo avviato negli ultimi tempi è prezioso, va custodito ed alimentato. La grande svolta della Nostra Aetate è solo un punto di partenza. Nel tempo sono seguiti altri importanti documenti che servono ad applicare i principi contenuti nella Dichiarazione conciliare. Il primo contributo concreto fu pubblicato nel 1974, durante il pontificato di Paolo VI, Orientamenti e Suggerimenti per l'applicazione della dichiarazione conciliare Nostra Aetate, un documento che contiene utili indicazioni con l’invito a religiosi, catechisti e fedeli impegnati in vari campi a tenere conto della “nuova dottrina”, evidentemente opposta a quanto messo in campo dalla Chiesa fino al Concilio. Seguiranno nel 1985, Sussidi per una corretta presentazione degli ebrei ed ebraismo nella predicazione e nella catechesi della Chiesa Cattolica. Insomma, non mancano prese di posizione e documenti che tracciano finalmente una via diversa nel segno del rispetto e della consapevolezza del patrimonio comune alle due fedi.
Ma ci sono gesti che pesano molto di più delle centinaia di pagine che cancellano l’antigiudaismo e assestano un duro colpo ai pregiudizi e agli stereotipi che albergano ancora nei cuori e nelle menti di tanti cristiani.
Domenica, 13 aprile 1986, è uno di quei giorni che non dimenticheremo mai, quando l’abbraccio fra Giovanni Paolo II e il rabbino capo di Roma, Elio Toaff, suggellò una visita che resta e resterà impressa nei cuori e nelle menti di tante persone. Fu la prima volta di un Pontefice che varca la soglia di una Sinagoga compiendo un gesto che i suoi successori avrebbero poi ripetuto, come parte della tradizione della nuova Chiesa nata dal Concilio Vaticano II. Si tratta di un cammino importante intriso anche delle preghiere dei Papi scritte su un biglietto inserito nelle antiche fessure del Muro del Pianto a Gerusalemme, così come delle visite ad Auschwitz e da altri gesti profetici nel segno della Nostra Aetate. L’aria nuova che si respira nelle stanze della Santa Sede è una vera e propria rivoluzione in atto. Un cambio di prospettiva che tocca in profondità la dottrina relativa all’ebraismo e che deve ancora produrre frutti maturi. Non mancano ancora oggi inutili quanto dannose contrapposizioni tra una pretesa superiorità della religione del cuore rispetto al presunto formalismo normativo imposto dai farisei, dimenticando che gli ebrei contemporanei sono discendenti di quella corrente giudaica tante volte evocata nelle facili omelie di alcuni parroci, nonostante la novità della Nostra Aetate. Ecco perché un grande gesuita, il cardinale Carlo Maria Martini nel suo libro, Israele, radice santa, ormai introvabile, lancia un grido: «Rimuoviamo le interpretazioni tendenziose, ingiuriose, di passi contenuti nel Nuovo Testamento e in altri scritti. Dissipiamo le incomprensioni che ancora ci rendono diffidenti della buona volontà reciproca». Il cardinale, grande protagonista del dialogo ebraico-cristiano, si spinge oltre ipotizzando una vera alleanza tra le due fedi sulla base di alcuni punti comuni.
Sono le pietre miliari di un nuovo cammino basato sul rispetto e sulla consapevolezza delle comuni radici bibliche. Molto ovviamente resta ancora da fare per cancellare definitivamente una storia millenaria di tragica divisione. In questo senso è da accogliere molto positivamente una recente iniziativa.
Per favorire una corretta conoscenza dell’ebraismo e del cristianesimo nell’insegnamento scolastico, l’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, il Servizio nazionale per l’insegnamento della religione cattolica e l’Ufficio nazionale per l’educazione, la scuola e l’università, in collaborazione con l’Unione delle Comunità ebraiche italiane (Ucei), hanno elaborato 16 schede utili per l’aggiornamento dei testi scolastici, spesso di impronta preconciliare. La proposta, frutto di un cammino e di una scrittura condivisi, vuole contribuire a fugare ambiguità, lacune e distorsioni ancora presenti nella trasmissione degli elementi fondamentali dell’ebraismo e del cristianesimo.