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mercoledì 22 marzo 2023
 
L'ANALISI
 

Dalla neutralità al fronte: i cattolici e la Prima guerra mondiale

01/11/2018  Il ruolo di Giacomo della Chiesa, che il 3 settembre 1914 venne inaspettatamente eletto Papa con il nome di Benedetto XV: denunciò la follia del conflitto ("un'inutile strage") adoperandosi - inascoltato - per cercare di limitarne l’estensione e per promuovere le condizioni di un pace rapida, senza vincitori né vinti. La circolare di Cadorna dell'aprile 1915 che riassegnò cappellani militari alle Forze armate (durante le ostilità furono in tutto 2.500). Le testimonianze di Angelo Roncalli, padre Giovanni Semeria, padre Pio, don Giovanni Minzoni, Erminio Filippo Pampuri, Giuseppe Moscati.

Qui sopra: padre Agostino Gemelli (con la fascia al braccio), nel 1915, quand'aveva 37 anni ed era consulente psicologico tra le truppe. In alto: don Vincenzo Guazza, nel 1916, durante una celebrazione al campo. In copertina: don Ettore Civati, all'età di 28 anni, cappellano militare del 20° Reggimento di fanteria, durante una Messa sul Carso celebrata nel 1917. Tutte le foto di questo servizio sono dell'archivio storico dell'Ordinariato militare per l'Italia (per gentile concessione).
Qui sopra: padre Agostino Gemelli (con la fascia al braccio), nel 1915, quand'aveva 37 anni ed era consulente psicologico tra le truppe. In alto: don Vincenzo Guazza, nel 1916, durante una celebrazione al campo. In copertina: don Ettore Civati, all'età di 28 anni, cappellano militare del 20° Reggimento di fanteria, durante una Messa sul Carso celebrata nel 1917. Tutte le foto di questo servizio sono dell'archivio storico dell'Ordinariato militare per l'Italia (per gentile concessione).

Per la Chiesa e i cattolici italiani la Prima Guerra mondiale fu un momento di passaggio drammatico e doloroso, che determinò una cesura profonda rispetto al passato. Il contrasto con lo Stato liberale, il Regno d’Italia dopo l’Unità non si era placato. Nonostante il Patto Gentiloni, la conciliazione era ancora lontana e il dilemma tra guerra e pace dentro una nazione profondamente cattolica evidente. Il dramma del conflitto mondiale, le nazioni cattoliche l’una contro l’altra armate evidenziano dei paradossi e definiscono nuovi scenari. E, in effetti, il primo conflitto globale  fu la fase della storia d’Italia nella quale il mondo cattolico supera il periodo del Risorgimento: “I cattolici entrano a fare parte della comunità nazionale dal punto di vista politico”.

Francesco Traniello, decano dei docenti di storia contemporanea, maestro di generazioni di esperti, di area cattolica liberale e democratica, ha evidenziato questa svolta  al convegno di studi dedicato al ruolo avuto dai giornali cattolici piemontesi durante il primo conflitto mondiale, svoltosi nei giorni scorsi al Polo del ‘900 di Torino, che ha dato conto delle conclusioni di un progetto pluriennale sulla stampa cattolica piemontese negli anni della Prima guerra mondiale condotto dalla Fondazione Donat-Cattin, curata in due volumi Pace o guerra? La stampa cattolica nelle diocesi piemontesi 1914-1915 e Guerra Pace Politica. La stampa cattolica piemontese durante la Prima guerra mondiale a cura del professor Bartolo Gariglio, professore di storia contemporanea all’Università di Torino.

Traniello ha sottolineato come l’entrata nella vita politica italiana dei cattolici sia avvenuta attraverso un travaglio che avrebbe portato alla costituzione del Partito Popolare di Luigi Sturzo, in un momento nel quale il Paese «scivolò dalle posizioni neutraliste nei confronti della guerra ad altre interventiste. Una fase storica ancora oggi difficile da interpretare a fondo: l’Italia era il Paese che aveva meno ragioni per intervenire nel conflitto».  Infatti, allo scoppio del conflitto – scrive Mauro Forno, professore associato di Storia contemporanea Università degli Studi di Torino -, tutti i giornali inviarono al fronte i migliori inviati e tutti inizialmente si allinearono alle indicazioni della propaganda con l’intento di dare fiducia al Paese. Poi però i giornalisti si resero conto della distanza fra quanto veniva scritto e quanto invece accadeva in realtà».

Il risveglio cattolico è caratterizzato da contrasti e tensioni interiori ed esteriori profonde come scrive Daniele Menozzi, professore di storia contemporanea della Normale di Pisa e autore dei migliori saggi sul rapporto tra pace e guerra nel  Magistero pontificio dei Papi del Novecento. Un processo lungo e articolato, sofferto e complesso che ha portato a una scelta radicale contro la guerra e la violenza espressa nella Pacem in Terris (11 aprile 1963) di papa Giovanni XXIII e poi sottolineata dai pontificati di Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco. Tuttavia il complesso rapporto tra i cattolici e la Chiesa con il primo conflitto mondiale parte da una situazione fluida e magmatica nella quale il mondo occidentale si trova all’inizio del secolo. Nel settembre del 1914 il nuovo pontefice, il genovese Giacomo della Chiesa (1854-1922), che assunse il nome di Benedetto XV (fu eletto inaspettatamente Papa appena il 3 settembre 1914, quattro mesi dopo esser stato nominato cardinale: era arcivescovo di Bologna dal dicembre 1907 ed ottenne la berretta rossa solo il 25 maggio 1914) confermando l’interpretazione della guerra come castigo divino, esortava i cattolici a implorare Dio affinché “deponga questo flagello dell’ira sua, col quale fa giustizia dei peccati delle nazioni”.

In un’allocuzione al Concistoro del 22 gennaio 1915, il Papa confermò la neutralità della Chiesa cattolica, che riprovava “con tutte le forze ogni violazione del diritto ovunque sia stata commessa”, ma respingeva allo stesso modo il tentativo di “coinvolgere l’autorità pontificia nelle dispute dei belligeranti”. L’esperienza della guerra, il confronto quotidiano con la morte, con la sofferenza, con il dolore, furono considerate dalla Chiesa una condizione di vita che poteva favorire il risveglio religioso sia fra la massa dei combattenti che fra le loro famiglie, avviando così un processo di ‘ricristianizzazione’ per combattere il processo di ‘scristianizzazione’ prodotto dalla modernità.

Inoltre, nel fronte interno, le amministrazioni comunali guidate da cattolici e le varie associazioni e organizzazioni cattoliche svolsero un’attiva opera di sostegno allo sforzo bellico e per l’assistenza alle famiglie dei soldati e dei caduti.  Alla dichiarata neutralità della Santa Sede non seguì un comportamento analogo da parte del clero e dei cattolici delle nazioni belligeranti. In massima parte, sia nel fronte dell’Intesa, sia nel fronte degli imperi centrali, i cattolici si schierarono a sostegno dei loro paesi giustificando la partecipazione al conflitto come una «guerra giusta» combattuta per difendersi contro un nemico identificato come l’anticristo.

In Italia, la svolta avvenne alla vigilia dell'entra in guerra. Il generale  Luigi Cadorna, cattolico convinto, e primo protagonista della disfatta di Caporetto, nell’aprile del 1915 emanò una circolare per riassegnare alle Forze armate i cappellani (durante le ostilità si contarono 2.500 cappellani in tutto). Si assistette alla definitiva conquista alla causa bellica dei cattolici e della Chiesa, sollecitata dall’idea di fornire assistenza spirituale ai soldati al fronte. Tanti gli esempi di cappellani o di sacerdoti o credenti laici in divisa che saranno protagonisti della storia della Chiesa e del cattolicesimo del Novecento. Si pensi, ad esempio, ad Angelo Maria Roncalli, futuro Giovanni XXIII (1881-1963), che il 23 maggio 1915 fu richiamato al servizio di leva con il grado di sergente di sanità e il giorno dopo si presentò al centro di raccolta di Sant' Ambrogio a Milano da dove venne destinato a Bergamo; lì - fino al al 1918 - prestò servizio militare come cappellano dell'Ospedale, chiamato Ricovero nuovo, e di altri strutture sanitarie della zona. Ma è giusto ricordare anche il barnabita genovese Giovanni Semeria (1867-1931; fu cappellano militare presso il Comnando supremo), apostolo della carità  formatore di una generazione di cattolici, presbiteri e laici, innovatori nella teologia e nella liturgia e nel rapporto con la modernità, padre Pio (1887–1968, finito sotto le armi nel novembre del 1915, e inquadrato nei ranghi della Sanità militare) e don Giovanni Minzoni (1885-1923, arruolato nell'agosto 1916, cappellano, si distinse sul Piave meritando la medaglia d'argento), poi ucciso da squadristi fascisti. Da non dimenticare, infine, due medici, due cattolici di provata fede e di grande professionalità, uno del Nord (lombardo),e uno del Sud (napoletano), entrambi procalamti santi: Erminio Filippo Pampuri (1897-1930; maturò al fronte la vocazione, entrò poi nei Fatebenefratelli diventando fra' Riccardo) e Giuseppe Moscati (1880-1927), il quale, pur avendo fece richiesta di poter andare al fronte per dare il suo contributo alla Patria, vide la sua domanda rigettata perché il medico era già una leggenda vivente e non si voleva correre il rischio che potesse accadergli qualcosa ed allora si dedicò anima e corpo ai feriti dirigendo il Reparto medico militare a Napoli dove curò personalmente 2500 soldati.

Il comportamento disciplinato e patriottico dei cattolici combattenti e l’impegno dei cattolici nel fronte interno non venne meno dopo la condanna della guerra come «inutile strage», espressa il 1 agosto 1917 da Benedetto XV nella Nota ai Capi delle potenze belligeranti, anche se questa provocò forte risentimento fra le potenze dell’Intesa: fu il ministro degli esteri Sonnino che insistette con gli alleati perché non rispondessero alla Nota del Pontefice. E fu ancora l’Italia che si oppose a una partecipazione di rappresentanti della Santa Sede alla conferenza della pace. Il rapporto dialettico interno alla Chiesa, tra Vaticano e i cattolici laici impegnati in politica, sarebbe durato a lungo soprattutto nella tempesta segnata dalla nascita dei totalitarismi post-bellici e dalla svolta concordataria della Santa Sede.

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Trincee, ma non solo: la Grande guerra nelle foto dello Stato Maggiore
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