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lunedì 09 settembre 2024
 
anniversari
 

Don Puglisi, la sua morte come un seme di rinascita

15/09/2023  «Grazie alla beatificazione», spiega il suo successore, «questa borgata non è più solo quella degli “uomini d’onore”». E per tanti mafiosi, dice il teologo Scordato, «inizia la conversione»

Il teologo Cosimo Scordato.
Il teologo Cosimo Scordato.

Il 15 settembre 2023 ricorrono i 30 anni dalla morte per mano mafiosa di don Pino Puglisi e 10 dalla sua beatificazione, il 25 maggio 2013. Il tempo non ne ha scalfito la memoria. Eppure qualcosa è cambiato, come afferma don Maurizio Francofonte che da 16 anni ha sostituito come parroco don Pino Puglisi nella chiesa di San Gaetano, nella borgata Brancaccio. «C’è stato un crescendo fino alla visita di papa Francesco, nel 2018, con una serie di eventi che hanno fatto sperare tantissimo la comunità sociale e religiosa di Brancaccio». Per padre Maurizio la beatificazione era già stata un momento di forte svolta. «Brancaccio», spiega, «nel pensiero di chi veniva da fuori (ma anche dei suoi abitanti) era la comunità che ha ucciso il proprio pastore. I due boss Graviano e gli esecutori Spatuzza e Grigoli sono di Brancaccio, frequentatori della comunità, alcuni erano addirittura “praticanti”. «La lettura è stata quella del film Alla luce del sole di Roberto Faenza, cioè quella della solitudine, della chiusura della società civile e religiosa nei confronti di questo pastore». Emblematica della processione effettuata a Brancaccio con i soli chierichetti mentre dalle finestre sparano i fuochi d’artificio. Secondo il parroco la sua figura era insomma condizionata dalla dimensione di prete antimafia per un territorio «che in un certo senso è “mafiozoico”, come dico io, cioè culturalmente incastonato nella dimensione mafiosa (anche se qui non c’è solo la presenza dei mafiosi). Si tratta di un quartiere che è cresciuto con una mentalità radicata anche nell’antichità, di un certo modo di essere omertosi, chiuso, autoreferenziale, refrattario». Una dimensione difficile da scardinare, continua padre Francofonte. «Il lavoro che ho dovuto affrontare è quello di rendere padre Pino non l’oggetto di un omicidio ma la testimonianza di un martirio, di un dono che lui ha fatto. Non è stato semplice. La beatificazione ci viene giustamente in aiuto perché è stato il momento in cui final mente la comunità si è sentita liberata da quel peso, dal senso di colpa. E quindi si è cominciato a riconoscere don Pino come dono di grazia per il territorio. C’è stato un forte impulso e anche finalmente una ripresa delle attività attraverso l’oratorio, le suore di Madre Teresa che ci hanno molto aiutato, i giovani di Brancaccio e quelli che arrivano da tutta Italia si sono appassionati attraverso i racconti, gli scritti, le testimonianze.Molto importanti sono stati i bambini coi loro genitori, hanno iniziato a far vedere le foto dei battesimi e matrimoni celebrati da don Pino». Quell’omicidio è stato come un seme.

Don Maurizio Francofonte.
Don Maurizio Francofonte.

«Finalmente la scoperta che era un uomo appassionato di Gesù. Perché leggere la vita di don Pino vuol dire leggere il Vangelo». Chi conosceva bene don Puglisi è il teologo don Cosimo Scordato, di Bagheria. Per 35 anni è stato rettore della chiesa di San Saverio all’Albergheria e insieme a molti volontari ha fondato il Centro sociale San Saverio. Don Cosimo – che ha recentemente scritto un libro dedicato a Puglisi con Augusto Cavadi (Il pozzo di Giacobbe editore) – passò dal parroco di Brancaccio poche ore prima del suo omicidio e notò che il suo volto faceva trasparire qualche preoccupazione. «Il discorso cristiano sulla mafia deve vivere un passaggio ulteriore, come hanno indicato i vescovi siciliani nel loro ultimo intervento, la Lettera pastorale Convertitevi, scritta nel 2018. Sulla linea di quanto aveva già proposto Giovanni Paolo II, dobbiamo distinguere il peccato di mafia dal peccatore; non sempre è facile intravedere questa possibilità dato il legame vincolante dell’adesione alla mafia, ma non possiamo rinunciare al perdono che il Padre ha già donato ai suoi figli “mentre erano peccatori”. L’appello alla conversione dei mafiosi è il riconoscimento che essi, nonostante i loro misfatti, restano dei fratelli da recuperare all’amore di Dio». Parlando di conversione – spiega don Scordato – la distinguiamo dal “pentitismo”, con cui lo Stato sta cercando di “smontare” dall’interno l’organizzazione mafiosa. La conversione, invece, «fa appello alla profondità della coscienza e alla conseguente svolta di vita come rifiuto del proprio passato, a prescindere da qualsiasi beneficio, e privilegiando l’adesione al Vangelo di Gesù Cristo. La Chiesa deve diventare spazio di risurrezione, ovvero di cambiamento radicale che rende improbabile, se non impossibile, per la grazia del suo Signore, l’infiltrazione mafiosa e l’invadenza dei comportamenti mafiosi». Si tratta di tornare al Vangelo, di ripensare la Chiesa all’interno della società». Don Pino Puglisi «ha annunziato e testimoniato» – scrive mons. Bertolone, postulatore della causa di beatificazione – «il volto nuovo di Cristo, diverso dal sistema di potere e di morte detenuto dalla mafia». Dunque tra mafia e Vangelo, tra mafia e Chiesa cattolica c’è incompatibilità assoluta.

 

 

 
 
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