L’hanno definito «nonno coraggio». Ha 71 anni, è piemontese di Chiaverano (Torino), impiegato Olivetti in pensione, Gaetano Moscato la sera del 14 luglio scorso sulla Promenade des Anglais di Nizza durante l’attentato che insanguinò la festa nazionale francese riuscì a mettere in salvo entrambi i nipoti di 12 e 18 anni e la figlia, spingendoli sul lato della strada e rimanendo schiacciato da una ruota del Tir, che gli ha tranciato una gamba. Furono i due ragazzi a passargli una cintura per bloccare l’emorragia.
Intorno a lui i pezzi della sua stessa gamba: era convinto di morire, ma per fortuna è riuscito a salvarsi. Nell’attentato, causato da un camion guidato dal tir del kamikaze Mohamed Lahouaiej Bouhlel, scagliatosi violentemente sulla folla, morirono 86 persone e ne rimasero ferite quattrocentotrentaquattro. Quella sera a Nizza Moscato era in vacanza, assieme alla figlia, agente di polizia nel North Carolina, Stati Uniti, e ai due nipoti, una ragazza di 18 anni e un ragazzino di 13.
Gaetano Moscato durante la degenza in ospedale
Non capisco come una persona abbia creato un disastro del genere
Grazie a una protesi e mesi di riabilitazione, è tornato a camminare. Ma la sua vita è del tutto cambiata perché, abituato a vivere in totale autonomia, è ora costretto a dipendere dagli altri. Trovare pace, raccontava a dicembre a Repubblica, non è semplice, così come non lo è trovare una ragione in tutto quel male: «Non capisco come una persona possa aver creato un disastro del genere, non so quali motivazioni possa aver dato a sé stesso per quel che ha fatto». Ma per il signor Gaetano le responsabilità sono anche altrove, in uno Stato che ha non saputo proteggere tutti quegli innocenti: «Ha lasciato che quell’uomo si gettasse su di noi. Io non capisco perché la polizia, e ce n’era parecchia, l’abbia lasciato passare: gli è bastato chiedere permesso. E c’è andata bene, se quel camion fosse stato carico di esplosivo sarebbe stata la fine del mondo».
Sposato da 50 anni, il giorno delle sue nozze d’oro era ricoverato in ospedale. Accanto a lui, la sua compagna di una vita, con la quale spera di fare un viaggio non appena starà meglio. Sugli immigrati? «Arabi, marocchini, neri, per me sono tutte persone. Ma o sappiamo offrire loro un’accoglienza degna o è meglio lasciar perdere». Dal 22 novembre fino a gennaio è stato al centro protesi di Vigorso di Budrio, dove faceva palestra e riabilitazione tutti i giorni. Non è stato possibile recuperare la sua gamba, ma quella nuova è comunque un gioiello, «la uso da circa un mese», ha confessato, «e ho già fatto molti progressi, oltre ad apprezzarne l’estetica».