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domenica 16 marzo 2025
 
televisione
 

Ecco chi è il regista del "trasloco" di Amadeus al canale Nove

16/04/2024  Le motivazioni apparenti dell'addio alla Rai del celebre conduttore che ha sbancato Sanremo, da un programma per la moglie alla voglia di lasciare Milano, lasciano il tempo che trovano. Le ragioni sono altre e qui ve le spieghiamo (di Massimo Scaglioni)

Alessandro Araimo.
Alessandro Araimo.

di Massimo Scaglioni*

Immaginate un signore italiano sui cinquant’anni, completo blu e cravatta in tono sempre ben stretta al collo, eloquio da bocconiano - pratico e non troppo forbito - temprato dall’esperienza da top manager in diversi gruppi editoriali, fra Francia e Italia, abituato a ragionare su numeri, dati e, soprattutto, soldi. Benché poco noto al grande pubblico, è lui l’artefice delle operazioni che hanno aperto il mercato televisivo italiano, andando oltre le colonne d’Ercole del duopolio Rai-Mediaset, l’ormai incancrenito sistema costruito da Silvio Berlusconi negli anni Ottanta, quarant’anni fa, e rimasto intatto fino a l’altro ieri. Per capire il senso dell’operazione che ha portato Amadeus da Rai1 al canale Nove non possiamo che partire dal gruppo americano Warner Bros. Discovery (WBD) e dall’uomo che lo guida: si chiama Alessandro Araimo, dal 2022 è amministratore delegato del colosso mediale per il Sud Europa, dunque la Spagna oltre che l’Italia.

Si deve infatti ad Araimo l’acquisto più rilevante nel mercato dei volti della Tv italiana dello scorso anno: stiamo parlando di Fabio Fazio, che ha traslocato armi e bagagli da Rai3 a WBD dall’inizio dello scorsa stagione televisiva, trascinando il canale Nove da meno del 2% di share a oltre il 10% (certo, solo la domenica: ma l’effetto complessivo sulla rete si è fatto sentire). Il successo dell’ “operazione Fazio” ha dato all’amministratore delegato italiano ampia credibilità a livello internazionale.

E allora, tornate ad immaginare quel signore riuscire a convincere gli americani a rilanciare, alzando la posta in gioco: sembra di sentirlo snocciolare i numeri straordinari di share (65% dell’intera platea, con picchi oltre il 70%) dell’ultimo “Festival di Sanremo” – paragonabile a un nostrano “Super Bowl”, la finale del campionato di football, tradizionale numero uno degli ascolti televisivi Usa – oppure quelli di un programma quotidiano che raccoglie oltre un quarto degli spettatori nell’ora di punta del palinsesto. Entrambi i programmi – “Sanremo” e il rituale “giochino” dei pacchi, “Affari tuoi”, che unisce 5 milioni e mezzo di fedeli al giorno – si possono ricondurre tutti a un solo volto: quello di Amedeo “Ama” Sebastiani.

“Ama who?”, Ama chi? Gli americani, pratici e attenti ai soldi come Araimo, hanno capito che il gioco vale la candela e hanno messo sul piatto quasi cento milioni di euro per i prossimi quattro anni: non andranno tutti ad Amadeus, come ha tenuto a precisare l’amico Fiorello, ma sono l’investimento per l’intera operazione industriale, orientata a mettere in campo, già dal prossimo settembre, programmi nuovi e format collaudati (si vocifera del trasloco su Nove di un titolo come “Soliti Ignoti”, la cui opzione in Rai è in scadenza, e sarebbe perfetto per l’ “access prime time”, la fascia pregiata delle 20.30).

Come si spiega, dunque, l’Ama-Exit, l’uscita del volto più forte della TV, all’apice della sua carriera, dalla confort zone di Rai1, oltre le colonne d’Ercole del Nove? Ricostruzioni e retroscena hanno messo in campo le letture più variegate, dai sempre classici soldi a motivazioni decisamente più futili e francamente poco realistiche, e smentite dal diretto interessato (Ama è stanco di pendolare su Roma; Ama ha chiesto un programma per la moglie Giovanna…, e via dicendo). La verità è che l’immagine ricorrente di una Rai fortemente politicizzata – sebbene non ci sia quasi mai stato un momento in cui non lo era – di una Rai come barca un po’ alla deriva dalla quale fuggire per altri, più allettanti lidi ha ormai iniziato a prender forma chiara (che ciò corrisponda al vero o meno è altra questione), e chissà chi altro lascerà viale Mazzini. Ma, soprattutto, fuori dal duopolio Rai-Mediaset, oggi c’è un mondo decisamente più ricco, nel quale si slancia la scommessa di Warner Discovery: nuova competizione vuol dire alternative realistiche per i volti di successo, spinti a capitalizzarlo e monetizzarlo.

Cosa dobbiamo aspettarci come esito di questa operazione? Sul fronte del servizio pubblico, per la verità, i problemi sono ben più complessi della fuga di qualche volto, per quanto importante come Fazio o Amadeus: riguardano l’innovazione complessiva della Rai, la sua trasformazione in un editore mediale capace di recuperare la sua universalità guardando ai pubblici più giovani, che conoscono “Mare fuori”, “Il collegio” e (grazie ad Ama) “Sanremo” e poco altro. Capace cioè di giostrarsi fra le abitudini consolidate dal palinsesto lineare e le esigenze di potenziare le piattaforme on-demand (come Raiplay) per guardare a audience più dinamiche. La forza persistente di Rai1 (e in parte di Canale 5) è la ritualità e l’abitudine, e in una fascia di punta come l’ “access prime time” non sarà difficile trovare un volto capace di sostituire Amadeus (fra Stefano De Martino, Marco Liorni o giù di lì). Anche “Sanremo” ormai ha imboccato una strada da cui è difficile tornare indietro, chiunque lo conduca (oggi si scommette su Carlo Conti: popolarità e solida esperienza, con Sanremo già alle spalle). Ma il vero tema riguarda i vincenti di questa operazione, a cominciare dai dirigenti di WBD con in testa il bocconiano Araimo: Amadeus è un conduttore di scuola “baudesca”, un uomo al servizio del contenuto che presenta, e dunque bisognerà investire su contenuti adeguati alla svolta di Nove. Rompere le abitudini consolidate degli spettatori, specie quelli più abitudinari, trascinare pubblico (e dunque investimenti pubblicitari) non solo la domenica, ma tutti i giorni, dalle parti del canale Nove, dalle reti Rai e Mediaset, è impresa tutta da fare. E poi bisogna capire, finalmente, cosa vuole essere Discovery da grande: una Tv generalista, lineare e legata al palinsesto, sempre più nazional-popolare? O un aggregatore di reti – come Real Time - e servizi on-demand, come Discovey Plus e, fra poco, Max (la nuova piattaforma che raduna i contenuti pregiati di HBO, il canale premium delle grandi serie di qualità)? Per ora l’idea di “rubare” i grandi volti dai concorrenti più grandi ha pagato (ci avevano provato in passato, senza successo, anche con Maria De Filippi). Lo aveva già fatto, per la verità, Silvio Berlusconi negli anni Ottanta, rubando alla Rai molti dei suoi volti di punta. Ma i conti, alla fine, dovranno tornare. Numeri, dati, soldi. It’s just business, direbbero gli americani

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