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Femminicidi, ancora femminicidi, il cuore batte, lo sdegno, la rabbia, l’impotenza… Ma è necessario non solo sentire, riflettere, ma anche agire.
Ilaria Sula a Roma, giovane studentessa, 23 anni, un “fidanzato”, Mark Antony Samson che l’accoltella, la mette in un borsone, se ne libera gettandola in un dirupo, finge che siano di lei (già morta) i messaggini sul suo telefonino… e tutto questo si pensa anche con l’aiuto dei genitori… La madre l’aiuta a cancellare le tracce di sangue della povera Ilaria.
Sara Campanella, a Messina, uccisa a coltellate dal collega studente, Stefano Argentino, 27 anni, “bravo ragazzo” a sentire il padre di lui, probabilmente nel suo gesto la madre lo ha aiutato…. Ma, nello strazio, risuonano forte le parole del padre di Sara: “Lei non ci raccontava nulla, non sapevamo nulla di tutto ciò”.
Da queste premesse è necessaria una riflessione e una proposta. Sentendo le registrazioni telefoniche di Stefano verso Sara, ma ancor più quelle di Turetta verso Giulia Cecchettin, mi sono chiesta come è possibile che queste ragazze non provassero la dovuta paura verso questi giovani, non ne costatassero la follia, non ne parlassero con i genitori e tali genitori non procedessero in modo deciso ad allontanarle e non prendessero contatti con psicologi o altre figure di cura, per affrontare la situazione. Perché non proteggere la figlia, perché non agire? Perché? Perché dopo, solo dopo si celebrano?...
Penso sia cosa difficile essere madre o padre di una giovane uccisa da femminicidio, ancor più esserlo dell’uccisore: vergogna, inadeguatezza, incredulità. Ma tutto dovrebbe essere fatto prima, vincendo inadeguatezze e vergogna, sapendosi affidare a specialisti o persone capaci di aiuto. Anche per avere più consapevolezza e sicurezza nei genitori stessi, con incontri privati e pubblici, conferenze a tema. Se io, madre o padre so ciò che succede, non posso lasciare la figlia sola. E non allerto solo le forze dell’Ordine, ma soprattutto devo aiutare le forze psichiche della figlia, proteggere e aiutare la giovane psiche della ragazza, ascoltando, testimoniando e incontrando specialisti che aiutino. Bisogna che la giovane sia allontanata dal “torturatore” senza avvallare lo spirito di onnipotenza “benevola” e cieca volendolo aiutare, “ascoltare”. No. Non è così!
Se i genitori non sanno, è altrettanto grave, è bene chiedersi il perché di tale mancata fiducia, confidenza, nei figli. Deve prevalere, nei casi di violenza, la giusta ragione, il sentimento della paura di fronte a tali soggetti mortiferi, la salvaguardia della vita, che è un dono.
Ma guardiamo più a fondo: se una giovane donna rimane a lungo “presa” nei confronti di giovani che portano la morte, è essa stessa catturata dalla sfida al pericolo, alla morte. In lei non è lavorata, elaborata “l’imago paterna”, non si è costruita internamente come protettiva e incoraggiante verso la vita, per questo si incontrano soggetti maschili pericolosi, immaturi, con cui scontrarsi. Bisogna, attraverso un serio lavoro psichico, costruire internamente questa imago, questo dispositivo. Ma anche nei giovani “uccisori” l’imago paterna langue, quel dispositivo che costruisce la psiche ad avere e riconoscere i limiti, assumendo gli argini, i “no”. Forse per questo, costoro devono sperimentare tanti “no” esterni, poiché non ci sono all’interno, nulla di regolativo ha formato la loro psiche. E sono le parole, i gesti del padre, con la loro presenza e testimonianza a costruire ciò... Ma questa presenza deve essere tale, con affetto e fermezza anche nelle parole della madre, nei suoi comportamenti; è importante che lei confermi il padre. Se il padre è assente, o immaturo o compiacente con il figlio, non ponendo regole, né testimoniando un certo stile di vita maturo, il figlio rimane solo invischiato con la madre che a sua volta priva della “presenza presente” del marito-padre, fa corpo unico con il figlio. Quest’ultimo, così, diviene il suo prolungamento, sempre da giustificare.
Come può una madre aiutare il crimine del figlio? Invece di favorire la Legge, i limiti, anche la limitazione di un carcere? Come può? Questa non è buona madre! Il figlio è rimasto “tutto figlio”, non regolato, limitato dall’esperienza paterna, si fa ripetere tante volte i “no” (dalle giovani che lo respingono), poiché non interiorizzati (dal padre), ma pur nella ripetizione non li sa sperimentare come limite giusto e non li tollera. Deve ritornare quel “tutto”, nel bozzolo unico madre-figlio. Infatti, nel mondo fusionale di oggi il figlio ”è tutto, ha tutto, vuole tutto” , non sopporta la benché minima frustrazione, che diventa intollerabile, da qui l’eliminazione dell’altro, l’omicidio, pensando così che le sue mancanze, le sue parzialità possano essere cancellate e potrà nuovamente essere intoccabile, il Tutto.
Nella contemporaneità, si è nel “fissaggio” (non nella sua risoluzione) della confusione simbiotica e della indifferenziazione con la “madre divorante”, manca sempre più l’apparizione della parola del padre, parola di interdizione, separazione e donazione che porta alla realizzazione del soggetto. Ma solo se avviene la rottura della coppia fusionale madre-bambino, il soggetto può accedere alla realtà sociale, a nuovi legami, divenire capace alla responsabilità e al rispetto. Tutto ciò è strutturale, riguarda la famiglia contemporanea: il padre è debole, assente, la madre è “tutta madre” e fagocita i figli maschi (vedi art. Beatrice Balsamo su Famiglia Cristiana online del 27/02/2025).
Il problema è sociale. Vedrei bene che, umilmente (nessuno ci insegna ad essere persone o genitori, ancor più oggi!), si seguissero “Scuole di genitorialità” e queste fossero presenti nelle scuole, parrocchie, istituzioni, Associazioni ecc... e che vi fossero più professionisti o figure di aiuto per le giovani e i giovani, per comprendere l'affettività, la responsabilità, il rispetto di sé e della vita. Sono necessari percorsi di consapevolezza, non serve mettere le testa sotto la sabbia o giustificare con semplici pensieri-slogan. È necessario capire, fare pratica di accompagnamento per entrambi i versanti, per la famiglia e per i giovani. Bisogna operare capillarmente per una formazione alla genitorialità, ai sentimenti e al rispetto. Certo, è importante anche la preghiera, ma pregare significa anche riuscire a riconoscere e a operare il “giusto mezzo”, le giuste vie!
Beatrice Balsamo
Filosofa della Persona, Psicoanalista, specializzata in Etica, Comunicazione e Cinema. Collabora con l’Università di Bologna, Parma, Ferrara per l’insegnamento di Scienze Umane e Filosofia della Persona. È Presidente di APUN (APS) – Associazione Psicologia Umanistica e delle Narrazioni. Filosofia Arte Scienze Umane. Ideatrice del CINECare – Cinema per pensare, a sostegno dei più fragili, è Direttore scientifico dell’Evento internazionale MENS-A/ Pensiero e Dialogo, che si svolge nell’intera Regione Emilia-Romagna. Nel 2023 è stata conferita alla Prof.ssa dal Presidente della Repubblica, l’onorificenza di Cavaliere dell’ordine “Al Merito della Repubblica Italiana” per le tante iniziative culturali e sociali innovative e attenzione agli altri. Tra le sue numerose pubblicazioni: Amore sussurro di una brezza leggera (2013), Elogio della dolcezza (2017) e, con Mursia, Nella Bellezza. Quando la parola manca (2020). Saggezza gentile. In una scia di parole (2023).




