«Miserando atque eligendo ». Non si può capire il pontificato, e la vita, di papa Francesco senza partire dal suo motto episcopale. Quello che Jorge Mario Bergoglio ha voluto mantenere anche quando è salito al soglio di Pietro. «Lo guardò con amore e quindi lo scelse», la frase tratta dalle omelie di san Beda il Venerabile, è un inno alla misericordia divina e un vero programma pastorale ed esistenziale. Guardare gli altri con gli occhi di Dio è l’insegnamento costante di questo pontificato. A dieci anni dal 13 marzo 2013, quando si affacciò per la prima volta dalla Loggia delle benedizioni, questa parola è ancora la più pronunciata da Francesco.
Appena due anni dopo, era sempre un 13 marzo, Francesco annunciava al mondo che alla Misericordia sarebbe stato dedicato un intero anno, fino al novembre del 2016. C’era dentro tutto: il suo amore per i poveri, tenendo fede al monito del suo confratello in conclave «non dimenticarti di loro», per i Paesi lontani – la prima Porta Santa andò ad aprirla a Bangui, in Africa – per le periferie esistenziali e fisiche, come testimoniò aprendone un’altra all’ostello della Caritas dietro la stazione Termini di Roma. Mandò monsignor Nunzio Galantino, all’epoca segretario generale della Conferenza episcopale italiana, a portare conforto e ad aprire la Porta Santa nel Kurdistan iracheno devastato dalla furia dell’Isis. E poi dette spazio alle famiglie, ai giovani, ai catechisti, ai carcerati. Se c’è un filo conduttore di questi dieci anni lo si può cercare proprio lì, andando a rileggere gli appuntamenti che, dal gruppo di preghiera di Padre Pio ai disabili, a «tutti coloro che hanno bisogno di consolazione» cercano di non lasciare indietro nessuno. «Certo che faccio politica, quella del Vangelo», ha detto recentemente Bergoglio. E con quel Vangelo in tasca che chiede a tutti di portare con sé e di consultare spesso, cerca di cambiare il mondo. Le sue parole e i suoi gesti, verrebbe da dire con termine colto, sono «performativi», cioè creano la realtà nel momento stesso in cui sono pronunciate o compiuti.
E così la fraternità si fa concreta quando nel 2014, al Fanar, a Istanbul, chiede a Bartolomeo I, patriarca di Costantinopoli, di «benedire me e la Chiesa di Roma» inchinandosi per ricevere il bacio sulla testa, quando firma, con il grande imam di al-Azhar, Ahmad al-Tayyib, il documento sulla Fratellanza umana, quando prega per la Siria, quando consacra la Russia e l’Ucraina al Cuore di Maria. Guarda ai disastri ambientali e alle guerre, alla sua amata Amazzonia per la quale, quando era arcivescovo di Buenos Aires, si era a lungo speso. Promuove un’economia di pace aiutando i giovani a sognare un mondo diverso. Lo fa con l’iniziativa Scholas occurrentes e con L’Economia di Francesco che coinvolgono nel mondo centinaia di migliaia di ragazzi nel silenzio dei grandi media. Vuole che tutti, chi ha il passo più veloce e chi quello più lento, marcino verso il meglio. Lo aveva detto proprio quella prima sera, sotto la pioggerellina leggera che salutava il nuovo Papa: «E adesso, incominciamo questo cammino: vescovo e popolo. Questo cammino della Chiesa di Roma, che è quella che presiede nella carità tutte le Chiese. Un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi. Preghiamo sempre per noi: l’uno per l’altro. Preghiamo per tutto il mondo, perché ci sia una grande fratellanza». Un cammino non sempre agevole che ha bisogno di dignità. Quella del lavoro, della casa, della terra.
«Tierra, techo y trabajo», le tre “T” che papa Francesco aveva pronunciato convocando a Roma per la prima volta nel 2014 i movimenti popolari, sono ancora nel cuore del Pontefice. Un lavoro giusto, che aiuti a sostenere sé e la propria famiglia, una casa dove trovare un porto sicuro e costruire il futuro, una terra da difendere dallo sfruttamento. Non si stanca di incoraggiare e denunciare, papa Francesco, compiendo, con semplicità, gesti storici. Per invocare la pace baciò i piedi dei rappresentanti politici e delle diverse etnie del Sud Sudan convocati in Vaticano, per dirne solo una. E in casa, in Vaticano, ha avviato una riforma sostanziale che toglie potere e instrada all’essenziale, che considera l’uso del denaro e delle proprietà a servizio del fine della Chiesa e non di sé stessi, che dà più spazio alle donne. In soli dieci anni, Bergoglio, da globe trotter raffinato, è entrato in tutti i meandri del vivere umano. E, come ama dire, ha messo in moto processi. Forse i frutti non si vedranno subito. Ma non bisogna perdere quella speranza cui è dedicato il prossimo Giubileo del 2025. Non un sogno, ma la certezza di chi sa, come dice lo stesso Francesco, che il «tempo è superiore allo spazio. Lo spazio cristallizza i processi, il tempo proietta invece verso il futuro e spinge a camminare con speranza». Forse ci saranno cadute, ma bisogna andare avanti, confidando il quel perdono, altra parola chiave, che Dio non si stanca di darci se noi non ci stanchiamo di chiederlo. Perché lui è «misericordioso» e il suo stile è «vicinanza, compassione e tenerezz