Leggere i numeri dell'epidemia può non essere immediato per chi non lo fa per mestiere: quanto sono indicativi? Quali dati guardare? Che cosa ci dicono esattamente? Risponde la professoressa Annarita Vestri, ordinario alla Sapienza di Roma e presidente della Società italiana di statistica medica ed epidemiologia clinica.
Il numero che sempre più colpisce è il dato assoluto: 1.000, 2.000, 4.000 nuovi casi al giorno. Ma quanto è indicativo in realtà? Vediamo che da un giorno all'altro i casi possono oscillare, da che cosa dipende questo fluttuare?
Il numero assoluto può essere utile come quantificazione globale del fenomeno che stiamo studiando, oggi la pandemia da Covid-19, ma non è idoneo per eventuali confronti. I dati giornalieri dei nuovi casi sono fluttuanti perché, soprattutto in questa fase, dipendono fortemente dal numero dei tamponi effettuati quel giorno. Nella prima fase dell’epidemia i tamponi venivano fatti solo sui soggetti sintomatici perché il nostro sistema sanitario non era così pronto a fronteggiare un’epidemia di queste dimensioni, quindi non vi erano abbastanza risorse, sia umane sia materiali, i dati dei test diagnostici, in quel momento, erano quindi riferiti ai casi clinici con sintomi o con pochi sintomi e ai contatti a rischio familiari e/o residenziali. In questa fase attuale, che possiamo definire di sorveglianza e prevenzione, si cerca di eseguire un buon numero di tamponi, che ricordo è l’unico strumento per poter avere la diagnosi, anche se non vi è mai la certezza assoluta (ci sono percentuali sia di falsi positivi che di falsi negativi), quindi l’aumento dei casi che oscilla giornalmente è dovuto principalmente all’aumento del numero dei tamponi eseguiti, che variano di giorno in giorno e anche rispetto alle diverse realtà territoriali.
DATI ASSOLUTI E CIFRE CONFRONTABILI
Che cosa ci servirebbe allora per ricavare dai numeri qualcosa di ragionevolmente confrontabile?
Occorre una lettura integrata di più indicatori, non sempre facile per il cittadino. Il Ministero della salute e l’Istituto Superiore di Sanità pubblicano i dati del monitoraggio ogni settimana disaggregato per Regione. Uno degli indicatori è l’incidenza a 7 o 14 giorni su 100.000 abitanti; questa misura indica il numero dei nuovi casi che si verificano in quel periodo di tempo ed espressi per 100.000 abitanti, in tal modo il dato non risente del variare della dimensione della popolazione. Viene espresso in unità di tempo (7 o 14 giorni) e viene definito tasso poiché esprime la variazione del numero dei nuovi casi al variare del tempo. L’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) considera i nuovi casi osservati nelle ultime due settimane; ad esempio nella settimana 21-29 settembre l’Abruzzo ha avuto un tasso di incidenza a 14 giorni pari a 25,73 casi ogni 100.000 abitanti mentre la Liguria, nella stessa settimana, ha avuto un tasso di incidenza pari a 75,88 casi ogni 100.000 abitanti. Questo è un dato confrontabile dal quale emerge che in Liguria in questo periodo la malattia si muove più velocemente che in Abruzzo. I dati più oggettivi sono quelli riferiti ai pazienti ricoverati in terapia intensiva e in regime ordinario per Covid19.
COME INCIDONO I TAMPONI
Perché il rapporto casi positivi/test processati non viene quasi mai dato? È complicato da reperire? Sarebbe utile averlo?
Questo rapporto spesso viene riportato su grafici, leggerne un solo giorno non è molto indicativo, si deve sempre leggere almeno un periodo. Ma occorre evidenziare che i tamponi fatti non corrispondono ad altrettante persone sottoposte al test: perché quel numero comprende anche i test fatti più volte sulla stessa persona. È il caso dei test ripetuti a distanza di almeno 24 ore sulle persone guarite, per confermarne quella che in gergo viene detta “negativizzazione”; oppure dei test risultati soltanto debolmente positivi o negativi, e pertanto ripetuti. C'è anche la possibilità che in un giorno vengano contati i test di alcuni giorni prima, se c'è un ritardo tra il momento dell'esecuzione del tampone per la diagnosi e la segnalazione sulla piattaforma dedicata. Pertanto è utile leggere il rapporto tra numero dei positivi e tamponi eseguiti, che non viene sempre calcolato e riportato, non da solo ma sempre integrato con gli altri dati; molto spesso, infatti, viene indicato solo il numero dei tamponi giornalieri, oppure il numero dei tamponi totali eseguiti in un determinato periodo.
LEGGERE I GRAFICI
Quando su un grafico vediamo salire la curva dei nuovi positivi: quella visualizzazione riflette la realtà?
I grafici che vengono pubblicati sono di diversi tipi, la curva dei positivi è certamente reale perché riflette l’andamento dell’epidemia, ci fa capire quindi l’entità del fenomeno. La curva dell’andamento nazionale, viene riportata dal Ministero della Salute, si riferisce totale dei positivi, cioè al numero cumulato giorno dopo giorno (cioè si sommano i nuovi positivi mano a mano che si diagnosticano, in arancione nel primo grafico). La curva verde evidenzia i dimessi/guariti, sempre cumulati, la curva grigia i deceduti.
C'È CURVA E CURVA
La seconda curva riflette invece il numero assoluto rilevato ogni giorno dei nuovi positivi. Le due informazioni sono diverse, nel primo grafico sulla curva arancione è riportato il numero totale dei nuovi positivi dalla data di inizio della pandemia fino a oggi, sommando tutti i casi (ai quali vengono sottratti i guariti e i deceduti); nel secondo grafico invece solo i nuovi positivi giornalieri. Si deve sempre leggere il numero riportato nell’asse delle ordinate (cioè in verticale) per avere l’entità del fenomeno. Tutti i grafici devono sempre essere accompagnati da una legenda, cioè cosa significano i dati descritti e la fonte dalla quale sono stati tratti e naturalmente il periodo di tempo, altrimenti è facile cadere in lettura distorte.
PARAGONI TRA PAESI
Tenuto conto che anche i Paesi vicini, con i quali ci si confrontarsi, hanno un numero di abitanti differenti e diverse politiche riguardo ai test, come si potrebbe realisticamente trarre un confronto indicativo senza incorrere nell’errore che alle elementari ci veniva spiegato come impossibilità di “sommare mele e pere”, vale a dire senza incappare nella fallacia di confrontare dati non confrontabili perché raccolti con criteri diversi?
Come detto sopra, si possono confrontare i tassi di incidenza per 100.000 abitanti, sempre riferiti allo stesso periodo di tempo; questa misura tiene conto delle diverse dimensioni di popolazione. Rimane il problema delle differenti strategie rispetto all’esecuzione dei test e del numero di test eseguiti, quindi tutti i dati andrebbero sempre “corretti” tenendo conto di questo. D’altra parte non è possibile eseguire tamponi, anche rapidi, su tutta la popolazione, al fine di individuare precocemente gli asintomatici, nessun Paese potrebbe sostenere, sia a livello organizzativo che economico, una sorveglianza di questo tipo. Il discorso sarebbe comunque più ampio perché le popolazioni sono diverse per quella che si chiama struttura per età, cioè alcune popolazioni sono più giovani, hanno percentuali di bambini e giovani adulti molto alte rispetto al totale dei residenti, mentre altre nazioni, come la nostra, hanno percentuali di anziani molto alte (oggi in Italia la popolazione oltre i 65 anni età rappresenta circa il 23% di tutta la popolazione residente). Questo dato è importante perché la “probabilità” di morte, a parità di altre condizioni, aumenta all’aumentare dell’età (ad eccezione del primo anno di vita). Quindi soprattutto nella fase iniziale sono stati fatti confronti non corretti ad esempio per quanto riguarda i tassi di mortalità, tra le varie popolazioni.
TRA REGIONE E REGIONE
È un problema che abbiamo anche tra Regioni italiane? Dal momento che i dati arrivano alla Protezione civile dalle varie Regioni che sui test applicano politiche diverse?
Sì, il problema delle diverse strategie di effettuazione dei test rimane anche nei confronti regionali.
PRESSIONE SUGLI OSPEDALI, UN DATO OGGETTIVO
Detto tutto questo tra i dati che ci vengono forniti (numero di positivi, di morti, di ricoverati, di guariti, di ricoverati in terapia intensiva), a quali dobbiamo guardare con maggiore interesse o apprensione?
Sicuramente il dato più oggettivo sono i ricoverati, sia in terapia intensiva sia in regime ordinario, perché dall’aumento dei soggetti ricoverati capiamo che il virus continua a circolare e diffondersi. Naturalmente i ricoverati in terapia intensiva sono quelli che destano maggiori preoccupazioni poiché sono i casi più gravi e perché il loro aumento comporta una riorganizzazione dell’assistenza sanitaria, sia in termini di posti letto sia di operatori sanitari specializzati.
IN TUTTO IL PAESE
Quelli che vediamo in queste settimane, da parte di chi sa leggere i numeri, che cosa ci dicono di come stiamo
È evidente che il virus oggi circola ed è diffuso in tutto il Paese, a differenza della fase iniziale nella quale era maggiormente concentrato nel Nord Italia. Si conferma un aumento nei nuovi casi segnalati in Italia per la nona settimana consecutiva, alla fine di settembre; con una incidenza cumulativa (dati flusso Iss superiore di sanità) di 34,2 casi per 100 000 abitanti nel periodo dal 14/9 al 27/9. Erano stati 31,4 per 100.000 abitanti nel periodo dal 7/9 al 20/9. Questo si riflette in un maggiore carico sui servizi sanitari, anche se al momento non siamo in allarme come nei mesi di marzo-aprile, ma dobbiamo tener conto di tutte le riaperture, dalle scuole all’università, che facilitano la circolazione del virus poiché, per quanto vengano adottate misure preventive di distanziamento fisico, non sempre è possibile rispettarle pienamente, per esempio sul trasporto pubblico. Vorrei aggiungere che occorre una maggiore diffusione della cultura ed educazione sanitaria nel nostro Paese, soprattutto tra i giovani, che per loro natura, tendono a sminuire la gravità di questa situazione.