Dal 1° gennaio 2026, oltre trenta organizzazioni umanitarie internazionali non potranno più operare nella Striscia di Gaza, in base a una decisione annunciata dal governo israeliano. Tra le organizzazioni coinvolte figurano nomi di primo piano nell'assistenza umanitaria globale: Oxfam, Caritas, Medici Senza Frontiere (MSF), ActionAid, il Norwegian Refugee Council, CARE International e l'International Rescue Committee.

La motivazione ufficiale del provvedimento, emesso dal Ministero degli Affari della Diaspora e del contrasto all'antisemitismo, riguarda il mancato rispetto dei nuovi requisiti di registrazione entrati in vigore nel marzo 2025. Secondo le autorità israeliane, le organizzazioni non avrebbero fornito informazioni sufficienti per dimostrare l'assenza di legami tra i loro dipendenti e gruppi considerati terroristici, in particolare Hamas e la Jihad Islamica.

I nuovi requisiti di registrazione

I regolamenti introdotti da Israele richiedono alle Ong che operano nei territori palestinesi di registrare i nomi completi dei loro operatori, compresi i dipendenti palestinesi locali, e di fornire dettagli su finanziamenti e operazioni. Ma le norme vanno oltre gli aspetti puramente amministrativi: includono requisiti ideologici che escludono organizzazioni che abbiano promosso boicottaggi contro Israele, negato l'attacco del 7 ottobre o espresso sostegno ai procedimenti giudiziari internazionali contro soldati o leader israeliani.

Il ministro Amichai Chikli ha dichiarato che l'assistenza umanitaria è benvenuta, ma non lo sfruttamento di strutture umanitarie per finalità terroristiche. Dal canto suo, l'ufficio Cogat (Coordinamento delle attività governative nei territori) ha sostenuto che le organizzazioni colpite dal divieto rappresentano solo l'1% dell'aiuto totale che entra a Gaza e che i servizi continueranno attraverso canali approvati dal governo.

Le obiezioni delle organizzazioni umanitarie

Le Ong coinvolte hanno respinto con fermezza le accuse israeliane e hanno sollevato serie preoccupazioni sulla sicurezza del personale. Athena Rayburn, direttrice esecutiva di AIDA, un'organizzazione che rappresenta oltre 100 enti operanti nei territori palestinesi, ha sottolineato che Israele non ha confermato che i dati raccolti non sarebbero stati usati per scopi militari o di intelligence, e ha ricordato che oltre 500 operatori umanitari sono stati uccisi a Gaza durante la guerra.

Medici Senza Frontiere ha definito "catastrofico" l'impatto della decisione israeliana sul proprio lavoro a Gaza, dove l'organizzazione supporta circa il 20% dei letti ospedalieri e assiste un terzo dei parti. MSF ha negato categoricamente le accuse di Israele, ribadendo che non impiegherebbe mai consapevolmente persone coinvolte in attività militari. L'organizzazione ha avvertito che se le autorità israeliane revocheranno l'accesso di MSF a Gaza nel 2026, una grande porzione della popolazione perderà l'accesso a cure mediche critiche, acqua e supporto salvavita, poiché le attività di MSF servono quasi mezzo milione di persone attraverso il vitale sostegno al sistema sanitario distrutto.

Shaina Low, consulente per le comunicazioni del Norwegian Refugee Council, ha spiegato le ragioni del rifiuto di sottomettere gli elenchi del personale: «Viene da una prospettiva legale e di sicurezza. A Gaza, abbiamo visto centinaia di operatori umanitari uccisi». La decisione di non rinnovare le licenze significa che gli uffici in Israele e a Gerusalemme Est saranno chiusi e le organizzazioni non potranno inviare personale internazionale o aiuti a Gaza.

Il contesto della crisi umanitaria

La decisione israeliana arriva in un momento in cui la situazione umanitaria a Gaza rimane drammatica, nonostante il cessate il fuoco in vigore dall'ottobre 2025. Oltre un milione e mezzo di persone su un totale di circa 2 milioni è in condizioni di grave insicurezza alimentare, secondo l'Integrated Food Security Phase Classification, un consorzio di 21 organizzazioni e istituzioni intergovernative.

I ministri degli Esteri di dieci nazioni - Regno Unito, Canada, Danimarca, Finlandia, Francia, Islanda, Giappone, Norvegia, Svezia e Svizzera - hanno espresso serie preoccupazioni per il rinnovato deterioramento della situazione umanitaria. Nel loro comunicato congiunto hanno evidenziato che con l'arrivo dell'inverno, i civili a Gaza affrontano condizioni terribili con forti piogge e temperature in calo. 1,3 milioni di persone necessitano ancora di urgente supporto abitativo, più della metà delle strutture sanitarie è solo parzialmente funzionante e il collasso totale delle infrastrutture igienico-sanitarie ha lasciato 740.000 persone vulnerabili alle inondazioni tossiche.

Le accuse di Israele e il dibattito sul controllo degli aiuti

Israele ha da tempo accusato le organizzazioni umanitarie che operano nella Striscia di avere legami con Hamas. Il caso più discusso è stato quello dell'Unrwa, l'agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, che nel gennaio 2025 è stata bandita dal territorio israeliano dopo mesi di critiche da parte del primo ministro Benjamin Netanyahu e dei suoi alleati di estrema destra. Gli Stati Uniti, precedentemente il maggior donatore dell'UNRWA, hanno interrotto i finanziamenti all'agenzia all'inizio del 2024. La questione di fondo riguarda la complessa realtà operativa di Gaza. Hamas governa la Striscia dal 2007, e chi opera al suo interno è spesso obbligato a lavorare a stretto contatto con il gruppo. Tuttavia, una revisione del governo statunitense di quest'anno non ha trovato prove di furti diffusi da parte di Hamas, un'affermazione che sia Israele che il Dipartimento di Stato americano avevano avanzato.

Le organizzazioni umanitarie hanno costantemente negato le accuse di collaborazione con Hamas e hanno sottolineato di seguire rigorose procedure di vetting del personale. Le organizzazioni hanno espresso le loro preoccupazioni e hanno offerto alternative alla sottomissione delle liste del personale, come la verifica da parte di terzi, ma Israele ha rifiutato di impegnarsi in qualsiasi dialogo.

Il prezzo degli operatori umanitari

Uno degli aspetti più tragici della guerra a Gaza è stato l'altissimo numero di operatori umanitari uccisi. Il numero di operatori umanitari uccisi a Gaza nell'ultimo anno è il più alto mai registrato in una singola crisi, secondo la dichiarazione dei responsabili del Comitato permanente inter-agenzie delle Nazioni Unite.

La grande maggioranza delle vittime è costituita da personale locale palestinese, che ha continuato a fornire assistenza alla propria comunità nonostante i rischi enormi. Secondo i dati raccolti dall'Aid Worker Security Database, centinaia di operatori umanitari sono morti dall'inizio del conflitto nell'ottobre 2023, rendendo Gaza il luogo più pericoloso al mondo per chi fornisce aiuto umanitario.

Le prospettive future

Le organizzazioni colpite dal divieto avranno due mesi, fino a marzo 2026, per concludere le loro attività e chiudere gli uffici. Durante questo periodo, il carico di lavoro ricadrà interamente sul personale locale già esausto, in un contesto in cui le esigenze rimangono enormi nonostante il cessate il fuoco. Shaina Low del Norwegian Refugee Council ha affermato: «Nonostante il cessate il fuoco, i bisogni a Gaza sono enormi e tuttavia noi e decine di altre organizzazioni saremo e continueremo a essere bloccati dal portare assistenza essenziale salvavita».

La controversia solleva interrogativi fondamentali sul delicato equilibrio tra esigenze di sicurezza e imperativi umanitari in zone di conflitto. Da un lato, Israele sostiene la necessità di prevenire l'infiltrazione di elementi terroristici nelle operazioni umanitarie. Dall'altro, le organizzazioni internazionali sottolineano che i requisiti imposti sono vaghi, arbitrari e impossibili da soddisfare senza violare obblighi legali internazionali o compromettere i principi umanitari fondamentali di neutralità e indipendenza.

Mentre il mondo osserva con preoccupazione, i civili di Gaza - già provati da oltre due anni di guerra, sfollamenti ripetuti e condizioni di vita precarie - rischiano di pagare il prezzo più alto di questo scontro tra logiche di sicurezza e necessità umanitarie. La decisione israeliana, in un momento in cui la popolazione affronta l'inverno in tende improvvisate e senza servizi di base, lascia presagire un ulteriore aggravamento di una situazione già definita "catastrofica" dalla comunità internazionale.

* Foto: Oxfam, MSF