La sala polifunzionale di Camp Arena, la base italiana di Herat, in Afghanistan. In copertina: attività di controllo per la presenza di ordigni esplosivi improvvisati (le foto sono di Romina Gobbo).
Camp Arena, Herat, Afghanistan
Conto alla rovescia per la
chiusura di Isaf (International Security Assistance Force), la missione Nato in Afghanistan.
Dopo il 2014, niente più azioni offensive, solo supporto e assistenza, presenza militare contenuta e forte presenza civile. Rimangono, però, aperte alcune questioni chiave: l'entità del supporto che la Nato continuerà a fornire al governo afghano, la conciliazione di questa presenza con le aspettative di Kabul, il bilanciamento dell'impegno che ciascun membro Nato è disposto a mantenere.
Su tutto questo è in corso un
braccio di ferro tra il presidente
Hamid Karzai e
Washington. A fine
novembre 2013, si è tenuta a Kabul la
Loya Jirga, Consiglio consultivo afghano, al quale hanno partecipato
2.500 delegati provenienti dalle 34 province del Paese. I delegati hanno firmato l'
Accordo bilaterale di sicurezza (Bsa), che prevede la presenza dei
soldati americani (
tra gli 8 e i 12 mila) anche dopo il 2014. Karzai, però, ha preso tempo, procrastinando la ratifica a dopo le elezioni (alle quali lui non può partecipare, perché la Costituzione prevede solo due mandati).
E, nel frattempo, conduce
trattative con i “talebani” (la recente liberazione di oltre 70 detenuti nel carcere di Bagram ha contribuito ad irrigidire i rapporti con gli americani). Una strategia mirata a rafforzare la sua posizione di leader patriottico in
difesa della sovranità afghana, così da poter assicurarsi un ruolo nel futuro dell'Afghanistan. La firma di quell'Accordo dagli americani è considerata
conditio sine qua non per la collaborazione post 2014, altrimenti ritiro totale e definitivo e addio ad ogni ulteriore impegno finanziario nel Paese asiatico da parte dei membri della Nato.
Intanto, prosegue il
retrograde (ripiegamento) delle
Forze armate italiane. Dopo Farah e Bala Boluk, a febbraio di quest'anno, ha chiuso anche la fob (forward operative base)
“La Marmora”, ultima base avanzata, che si trova a Shindand, dove operava la Transition Support Unit Centre, unità di manovra su base 183° Reggimento paracadutisti Nembo di Pistoia, al comando del colonnello Francesco Merlino. D'ora in poi, dunque,
l'impegno italiano sarà sempre più contenuto, e localizzato a Camp Arena, ad Herat, sede del Command Regional West – attualmente guidato dalla brigata meccanizzata “Aosta” -, dove resteranno dagli 800 ai 1.000 uomini.
La complessa attività operativa di rischieramento progressivo, ha finora già
rimandato in Italia oltre 2.400 tonnellate di materiali - per un totale di circa 3.000 metri lineari di carico (compresi
131 mezzi mobili campali e
109 veicoli tattici) -, mediante ponti aerei da Herat a Dubai, e poi, da lì, via nave (11 in tutto; un'operazione dai costi ingenti, poiché per riempire ogni nave occorrono dai 30 ai 40 voli e ogni volo andata e ritorno a pieno carico costa circa 70mila euro). La supervisione dei trasporti avviene ad Al Bateen, in Abu Dabhi (capitale degli Emirati Arabi Uniti), uno snodo importante per il transito di uomini e merci, gestito della 46esima brigata aerea (artefice, tra l'altro, della recente operazione di evacuazione dei civili dal Sud Sudan in ebollizione), sotto il comando del colonnello dell'aeronautica militare, Nino Monaco.
Assieme ai mezzi,
nel 2013 sono rientrati in patria circa 1.000 militari italiani. La punta massima di presenza militare italiana in Afghanistan è del 2011 con 4.700 uomini.
Oggi rimangono circa 2.000 soldati, suddivisi tra il comando di
Herat e
Kabul. Le attività sono quasi in toto volte a garantire il deflusso logistico delle attrezzature, la sicurezza è nelle mani dei circa 14mila uomini delle forze locali.
Il comandante di Camp Arena, il generale di brigata Michele Pellegrino.
Il generale Michele Pellegrino: "Occorre una soluzione afghana ai problemi afghani"
Il popolo afghano si interroga e non nasconde le preoccupazioni riguardo al dopo. Gzifa, 19 anni, studentessa, teme un nuovo conflitto interno, a seguito della riconfigurazione degli equilibri politici, economici e militari, legata al ritiro delle truppe. Naseer, 30 anni, giornalista, ha paura che il vuoto politico-militare possa favorire l'interferenza dei Paesi vicini (Iran, Pakistan, Russia, India). C'è anche chi non è del tutto convinto che le forze di sicurezza locali nutrano le giuste motivazioni per difendere il Paese. E i giovani diplomati temono che la progressiva riduzione degli aiuti possa innescare la recessione economica. Le presidenziali di aprile rappresentano per tutti un passaggio cruciale: affinché l'Afghanistan possa continuare sulla via dello sviluppo, è convinzione comune la necessità di un Governo che goda di un grande consenso.
Fatte salve le decisioni americane, di che cosa aspetta gli italiani a fine 2014 ci parla il generale di brigata Michele Pellegrino, comandante del Regional Command West e (in Italia) della brigata meccanizzata “Aosta”, con sede a Messina, incontrato a Camp Arena.
«La missione Isaf cambierà nome e svolgerà le funzioni di train (formazione), advice (consulenza), assist (assistenza) e support (supporto) alle Anfs (le Afghan National Security Forces raggruppano circa 350 mila uomini di esercito, polizia e servizi segreti). Il nostro supporto è fondamentale, là dove le forze di sicurezza afghane non sono ancora totalmente autonome, come, ad esempio, per quanto attiene alle forze aeree, oppure perché ci sono alcune capacità che esse non possiedono in quantità adeguata, come lo sgombero sanitario aereo di feriti e contusi, la bonifica di ordigni esplosivi, l’intelligence e, in parte, il sostegno logistico».
Hanno fiducia, gli afghani, nelle loro istituzioni?
«La fiducia degli afghani nelle loro istituzioni è il centro di gravità per le nostre azioni a tutti i livelli. La Coalizione è totalmente impegnata affinché l’Afghanistan diventi una nazione sovrana, prospera e indipendente. Alla fine si deve trovare una soluzione afghana ai problemi afghani, nel pieno rispetto della cultura e delle tradizioni locali. Oltre a trasferire la responsabilità della sicurezza, la strategia della comunità internazionale per un Afghanistan stabile e padrone del proprio futuro, si basa su quattro elementi: la formazione per l’Ansf, la costruzione di una partnership duratura della comunità internazionale con l'Afghanistan, la riconciliazione tra gli afghani e la promozione della stabilità regionale, della crescita economica e l’integrazione con i Paesi confinanti».
La popolazione come si pone nei confronti dei militari?
«I risultati dei nostri sforzi sono decisamente visibili: la pressione operativa di Isaf e dell'Ana (Afghan National Army) ha fatto calare il volume dell’attività dei nemici dell'Afghanistan. Le forze nazionali afghane hanno oggi la responsabilità della sicurezza di quasi tutto il territorio nazionale, a testimoniare l'autonomia conseguita dall'Ana grazie all'addestramento ricevuto.Sul piano dello sviluppo, abbiamo realizzato progetti e interventi in ogni settore infrastrutturale della nostra area di responsabilità - sicurezza, supporto istituzionale, istruzione, salute pubblica, energia -, impiegando manodopera locale e determinando, quindi, un notevole indotto economico per la popolazione, migliorandone sensibilmente la qualità della vita. A riprova del nostro impegno e dei risultati conseguiti, il popolo afghano dimostra di avere un'eccellente percezione dei soldati italiani, di cui apprezza la preparazione, la professionalità e la particolare attitudine a relazionarsi con la popolazione stessa. Lo testimoniano le costanti espressioni di gratitudine che riceviamo regolarmente a livello governativo, diplomatico, militare e, cosa ancor più gratificante, della gente comune».
Come vanno i parametri di sviluppo del Paese?
«L’Afghanistan oggi sta compiendo molti sforzi per recuperare gli effetti di 35 anni di conflitti. Migliorare la condizione delle donne è una priorità nella strategia di sviluppo nazionale. C’è ancora molta strada da percorrere prima di poter recuperare il ritardo con il resto del mondo, ma i miglioramenti si vedono. Negli ultimi undici anni, le scuole e le università hanno aperto le porte a un elevato numero di donne. Dei quasi 9 milioni di scolari delle elementari di tutto il Paese, il 40% per cento sono bambine. Questi numeri sono andati via via aumentando, nonostante il numero e la frequenza degli attacchi terroristici a scuole, insegnanti e studenti, perpetratisi in tutto l'Afghanistan. Anche l’aspetto della salute pubblica, negli ultimi anni ha visto un enorme miglioramento. Oggi giorno, circa l’80 per cento della popolazione afghana ha accesso all'assistenza sanitaria di base, a fronte del solo 8 per cento nel 2001».