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venerdì 18 aprile 2025
 
saggi
 

La formazione che serve davvero: competenze digitali per non restare indietro

08/04/2025  Nel saggio collettivo Tecnologie per la formazione aziendale. Storia, metodologie e futuri possibili del Digital learning in azienda Franco Amicucci, Paolo Ferri e altri studiosi tracciano una mappa aggiornata delle sfide formative nell’Italia post-pandemica. Come (e perché) la trasformazione digitale debba partire dal capitale umano, per non diventare una rivoluzione a metà

Ludovico Bianchessi

Viviamo in un tempo in cui la distanza fra il Paese reale e le sue promesse digitali si misura in megabit al secondo. E soprattutto in competenze assenti. Il libro collettivo Tecnologie per la formazione aziendale, pubblicato da Mondadori Education, è un’opera analitica che si muove sul crinale fra sociologia, pedagogia, economia della conoscenza e politiche pubbliche. Scritto da un gruppo di esperti guidati da Franco Amicucci e Paolo Ferri, con il contributo di studiosi come Fabrizio Maimone e Francesca Scenini, il volume indaga con rigore quasi cartesiano un paradosso tutto italiano: in un’epoca di iperconnessione, l’Italia resta tra i Paesi europei con il capitale umano meno preparato digitalmente.

Il testo prende le mosse da un dato strutturale: il DESI, l’indice europeo che misura la digitalizzazione, mostra una fotografia impietosa della società italiana. I livelli di alfabetizzazione digitale restano inferiori alla media continentale in quasi tutti i settori analizzati. Il 42% dei cittadini tra i 16 e i 74 anni possiede solo competenze digitali di base (dato 2021), e meno del 4% degli occupati è specializzato in ambiti ICT.

Ma questo volume non si limita a denunciare un ritardo: lo mappa, lo storicizza, ne cerca le radici. Ed elabora un lessico e una cassetta degli attrezzi per uscirne. Nella struttura del libro si riconosce un’architettura che combina background teorico e suggerimenti operativi. Si comincia con la cornice macro: la digitalizzazione come asse trasversale della politica europea (il Digital Compass 2030, il DigComp 2.2, il PNRR) e la formazione come leva per attrezzare cittadini e imprese a gestire la transizione.

La riflessione prosegue poi con un approfondimento sull’apprendimento continuo, sulla learning agility e su quella che potremmo chiamare la nuova “ecologia della formazione”: un ambiente ibrido dove si alternano formale, informale e non formale, tra aula fisica e piattaforme online. L’idea-chiave è che le tecnologie digitali, se ben integrate, possono restituire centralità al soggetto che apprende e favorire l’autonomia cognitiva.

Uno dei nuclei più solidi del libro è la ricostruzione storica del digital learning: dalle origini dell’e-learning all’attuale fase di apprendimento “nel flusso di lavoro”, dove le conoscenze devono essere accessibili nel momento e nel luogo del bisogno. La trasformazione non è solo tecnologica, ma organizzativa e culturale: si passa da modelli tayloristici a strutture boundaryless, con l’apprendimento inteso come fattore di sostenibilità e innovazione.

Non manca una riflessione puntuale sul ruolo del formatore nell’ecosistema digitale. Le metafore cambiano: non più il detentore del sapere, ma un facilitatore, un architetto dell’esperienza didattica, un designer della formazione ibrida. Il libro esplora strumenti concreti come i MOOC, gli open badge, le credenziali digitali, fino all’uso sperimentale della blockchain per certificare i percorsi.

Le ultime sezioni si concentrano sull’engagement e sull’ottimizzazione della formazione. In primo piano ci sono le corporate academy digitali, il social learning, la gamification: approcci non superficiali, ma studiati nei loro presupposti teorici e nelle applicazioni aziendali. Infine, uno sguardo alle tecnologie emergenti – intelligenza artificiale, big data, metaverso, realtà aumentata – e alle loro ricadute formative, con un’attenzione particolare ai problemi etici e agli effetti sistemici.

Tecnologie per la formazione aziendale è una riflessione a più voci su come ripensare il sapere e il lavoro in una società dove la tecnologia non è più un accessorio, ma una condizione dell’esistenza. Il suo messaggio è chiaro: senza una strategia educativa coerente, il digitale può amplificare le disuguaglianze. Ma con gli strumenti giusti, può anche ridurre i divari e democratizzare l’accesso alla conoscenza.

 

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