Governano con mano di ferro nazioni sommerse dai debiti, mentre loro posseggono fortune colossali. Nei loro Paesi si muore per una bronchite o per un ascesso ai denti, mentre loro vengono a farsi curare nelle migliori cliniche parigine, e poi vanno a trascorrere la convalescenza in una delle loro proprietà di lusso sparse nei sobborghi chic della capitale o in Costa Azzurra. Loro sono i capi di Stato di numerosi Paesi africani, coccolati e vezzeggiati da tempo immemore dalla Francia, a suon di miliardi, talvolta clandestini, al fine di poter accedere a condizioni privilegiate alle loro favolose risorse naturali. Grossomodo è questa la cosiddetta Françafrique.
Dal tempo delle colonie in poi, il Paese di Voltaire e dei diritti dell’uomo non ha mai smesso di tessere fitti rapporti coi leader, spesso corrotti, delle nazioni francofone del continente nero, dal Ciad al Niger con le sue miniere di uranio, dalla Costa d’Avorio al Cameroun con le sue riserve di legname, dal Senegal al Gabon coi suoi preziosi pozzi di petrolio. Ogni governo francese ha negoziato contratti dove i grandi beneficiari sono stati le famiglie dei capi di Stato e l’economia francese. Alle popolazioni africane restavano, e restano, puntualmente le briciole.
La Francia ha sempre mantenuto un ruolo chiave sullo scacchiere geopolitico, influenzando colpi di stato, finanziando questo o quel presidente, decidendo la gestione delle materie prime. Marine Le Pen si trova ormai candidata al secondo turno delle elezioni e fra gli slogan più ripetuti nel suo discorso, ce n’è uno che fa davvero riflettere: «la Francia ai Francesi, l’Africa agli Africani». Un po’ come quell’« Aiutiamoli a casa loro» che spesso riecheggia in Italia da parte di alcuni politici nostrani.
La Le Pen teorizza così, oltre allo stop definitivo all’immigrazione, anche la fine della Françafrique. Ma è davvero così? Davvero la fortuna famigliare dei Le Pen, colossale al punto da finanziare per gran parte autonomamente, la campagna presidenziale (i partiti «tradizionali» ricevono rimborsi dal Governo) non ha niente a che vedere con le risorse africane?
Fra i migliori amici di Jean Marie c’era il defunto Omar Bongo, presidente del Gabon
Jean Marie Le Pen, figlio di pescatori bretoni, è diventato ricco grazie al testamento in suo favore redatto negli anni Settanta da Hubert Lambert, industriale del cemento deceduto prematuramente. La sua fortuna si è poi accresciuta negli anni grazie a successivi testamenti da parte di simpatizzanti del partito e grazie anche…all’Africa. Fra i migliori amici di Jean Marie c’era il defunto Omar Bongo, presidente del Gabon. La famiglia di Bongo possiede nell’area di Parigi una trentina di lussuose proprietà, case e appartamenti per il valore di svariate decine di milioni di euro. Omar Bongo, così come il presidente congolese Denis Sassou Nguesso e una parte dei loro familiari sono stati oggetto di un’inchiesta aperta dal Tribunale di Parigi per appropriazione indebita di fondi pubblici coi quali sarebbero stati acquisiti beni di lusso sul territorio francese.
A portare l’accusa, oltre all’Ong Survie, c’era la Federazione dei Congolesi della Diaspora, creata per difendere gli interessi della popolazione africana. Nel 2011 l’avvocato Rober Bourgi accusava Jean Marie Le Pen di aver ottenuto finanziamenti illeciti per la sua campagna presidenziale del 1988 proprio dal presidente gabonese. La famiglia Le Pen è legata a doppio filo agli interessi economici francesi in Africa. Nel gennaio dell’anno scorso, quando all’Aia è cominciato il processo contro il presidente ivoriano Laurent Gbagbo, accusato di crimini contro l’umanità, a difenderlo c’era l’avvocato Bernard Houdin, un fedelissimo del Front National. Poco importava al Front della feroce repressione innescata dagli esiti dello scrutinio elettorale e le centinaia di vittime di una guerra civile provocata da un presidente-dittatore restio a lasciare il potere. Il nazionalista Gbagbo rimaneva un fedele alleato del partito di Jean Marie Le Pen a differenza del nuovo presidente, Alexandre Ouattara. Andava quindi difeso nell’interesse del Front.
Al Front National gli Africani che non piacciono sono solo quelli poveri
L’anno scorso, in primavera, l’anziano fondatore del Front National si è recato poi in Guinea Equatoriale per festeggiare l’ennesima investitura di un altro caro amico: il presidente Teodoro Obiang Nguema, al potere dal 1979 dopo un colpo di stato contro lo zio, rieletto nell’aprile scorso col 93,7% dei voti. Il figlio di Obiang Nguema, Teodorin, già designato come successore, è nei guai con la giustizia francese per appropriazione indebita di fondi pubblici. Il rampollo Teodorin ha un palazzo del valore di 45 milioni di euro situato al n. 42 di avenue Foch, a Parigi.
Durante l’asta mitica nel 2009 tenutasi al Grand Palais, che aveva come oggetto i beni di Yves Saint Laurent, Teodorin si aggiudicò un centinaio di oggetti per un valore complessivo di 18 milioni e fu ancora lui a spendere in un pomeriggio dieci milioni acquistando, in un momento di shopping compulsivo, ventotto orologi di lusso in una gioielleria esclusiva su Place Vendome. Tutto ciò è curioso per il leader di un paese dove la popolazione vive con sì e no un dollaro al giorno e dove il ministro dell’agricoltura tira a campare con uno stipendio ufficiale di tremila euro al mese. Ma Jean Marie Le Pen non trova nulla da ridire e corre a festeggiare il dittatore.
C’è poi da considerare Marion Maréchal Le Pen, la pasionaria del Front, ancora più conservatrice della zia, che, in testa di lista per le elezioni regionali in Provenza-Costa Azzurra (PACA) ricevette il sostegno di Innocent Dimi, vicepresidente del Gruppo Congo Capital Entreprises. Il socio in affari di Dimi è Samuel Maréchal, padre della giovane Marion. Samuel Maréchal, tanto per alimentare i pettegolezzi familiari, è sposato alla nipote di Félix Houphouet Boigny, presidente della Costa d’Avorio per più di trent’anni. Maréchal è dunque particolarmente vicino all’ambiente della politica e della finanza africane. Il Gruppo Congo Capital Entreprises ha sedi in una dozzina di Paesi, dal Burkina, al Mali, alla Costa d’Avorio, al Congo, al Ciad.
Non dimentichiamo poi il passato glorioso di Jean Marie, quando numerosi mercenari al soldo del Département Protection Sécurité (DPS), servizio d’ordine del Front National furono spediti nel corso degli anni Novanta nelle Comore, in Zaire e in Congo Brazzaville per fomentare colpi di stato, disordini e guerre civili utili agli interessi di una certa élite politica francese. Lo slogan della Le Pen, «l’Africa agli Africani» suona così come assurdo. Molto semplicemente, la potenza industriale francese non può sopravvivere senza l’Africa. E nemmeno i Le Pen.
Si può parlare di Areva e delle sue miniere di uranio in Niger, fondamentali per far funzionare le centrali nucleari da cui dipende ancora gran parte dell’approvvigionamento energetico in Francia e da cui Marine Le Pen, pro-nucleare, non vuole assolutamente privarsi. Si può parlare del colosso Total, che ottiene in Africa il 31% della sua produzione. Si può parlare anche di Vincent Bolloré, lo stesso Bolloré che sta tentando la scalata a Mediaset e che con la sua Bolloré Africa Logistics è leader del trasporto e della logistica nel continente. La società conta 250 filiali e circa 25.000 collaboratori e controlla praticamente tutto il traffico dei terminal container africani, da Abidjan, a Lagos, a Libreville.
L’economia francese non può scostarsi dall’Africa e la Le Pen lo sa benissimo. L’impressione è che al Front National gli Africani che non piacciono sono solo quelli poveri che arrivano sulle nostre coste. Ma oa Françafrique che irriga a suon di milioni il partito di Marine ha ancora davanti a sé un raggiante futuro.