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Papa Leone benedice un bambino durante l'udienza generale
«Nel corso del 2024 le spese militari a livello mondiale sono aumentate del 9,4% rispetto all’anno precedente, confermando la tendenza ininterrotta da dieci anni e raggiungendo la cifra di 2.718 miliardi di dollari, ovvero il 2,5% del PIL mondiale». Lo dice chiaro e tondo papa Leone nel suo primo messaggio per la Giornata della pace. La celebrazione, voluta a suo tempo da Paolo VI, segna l’inizio di ogni anno. Per il 2026 Prevost rilancia la frase che disse subito, affacciandosi dalla Loggia delle benedizioni, al momento dell’elezione titolando il testo: «La pace sia con tutti voi. Verso una pace disarmata e disarmante». Il Pontefice denuncia «l’enorme sforzo economico per il riarmo» con il quale si vuole rispondere alle sfide odierne. Non solo anche quelle politiche educative che, «invece di una cultura della memoria, che custodisca le consapevolezze maturate nel Novecento e non ne dimentichi i milioni di vittime» promuove invece «campagne di comunicazione e programmi educativi, in scuole e università, così come nei media, che diffondono la percezione di minacce e trasmettono una nozione meramente armata di difesa e di sicurezza».
Ma, per dirla con Sant’Agostino, «chi ama veramente la pace ama anche i nemici della pace» e con loro, più che insistere «col registro del rimprovero» preferisce la via «dell’ascolto e, per quanto possibile, dell’incontro con le ragioni altrui».
Papa Leone, nelle 26 pagine del messaggio, ricorda quanto sia rivoluzionaria la frase «La pace sia con voi» che «è la pace del Cristo risorto, una pace disarmata e una pace disarmante, umile e perseverante. Proviene da Dio, Dio che ci ama tutti incondizionatamente». Una pace che ha abbattuto, con la risurrezione, i muri di separazione fra gli esseri umani.
Non fa sconti, parla delle difficoltà odierne, del contrasto tra tenebre e luce che attanaglia anche noi: «È un’esperienza che ci attraversa e ci sconvolge in rapporto alle prove che incontriamo, nelle circostanze storiche in cui ci troviamo a vivere. Ebbene, vedere la luce e credere in essa è necessario per non sprofondare nel buio». Nonostante tutti i tentativi di tenerci nella disperazione, scrive il Pontefice, «la pace esiste, vuole abitarci, ha il mite potere di illuminare e allargare l’intelligenza, resiste alla violenza e la vince. La pace ha il respiro dell’eterno: mentre al male si grida “basta”, alla pace si sussurra “per sempre”. In questo orizzonte ci ha introdotti il Risorto».
Parla di terza guerra mondiale a pezzi, riprendendo la definizione di papa Francesco e chiede, a credenti e non credenti, di aprirsi alla pace che, come aveva detto anche in Libano, «prima che una meta, è un cammino».
«Seppure contrastata sia dentro sia fuori di noi, come una piccola fiamma minacciata dalla tempesta, custodiamola senza dimenticare i nomi e le storie di chi ce l’ha testimoniata. È un principio che guida e determina le nostre scelte».
E sebbene in tanti ci sentiamo attanagliati da quella che papa Leone definisce globalizzazione dell’impotenza, la testimonianza di tanti che sono riusciti a ritrovare la pace e seminarla nonostante dolore e sofferenze patite, come spiega bene anche la presenza di Agnese Moro, figlia del presidente democristiano rapito e ucciso dalle Brigate rosse nel 1978, ci invita a non perdere la speranza.


Sull’esempio di Gesù che, prima di essere catturato e messo a morte dice ai discepoli «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi». E subito aggiunse: «Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore». Il turbamento, scrive Leone, ««potevano riguardare, certo, la violenza che si sarebbe presto abbattuta su di Lui. Più profondamente, i Vangeli non nascondono che a sconcertare i discepoli fu la sua risposta non violenta: una via che tutti, Pietro per primo, gli contestarono, ma sulla quale fino all’ultimo il Maestro chiese di seguirlo. La via di Gesù continua a essere motivo di turbamento e di timore. E Lui ripete con fermezza a chi vorrebbe difenderlo: “Rimetti la spada nel fodero”. La pace di Gesù risorto è disarmata, perché disarmata fu la sua lotta, entro precise circostanze storiche, politiche, sociali. Di questa novità i cristiani devono farsi, insieme, profeticamente testimoni, memori delle tragedie di cui troppe volte si sono resi complici».
Non possiamo trattare la pace come qualcosa di lontano e inaccessibile, spiega Leone perché altrimenti «finiamo per non considerare scandaloso che la si possa negare e che persino si faccia la guerra per raggiungere la pace. Sembrano mancare le idee giuste, le frasi soppesate, la capacità di dire che la pace è vicina. Se la pace non è una realtà sperimentata e da custodire e da coltivare, l’aggressività si diffonde nella vita domestica e in quella pubblica. Nel rapporto fra cittadini e governanti si arriva a considerare una colpa il fatto che non ci si prepari abbastanza alla guerra, a reagire agli attacchi, a rispondere alle violenze. Molto al di là del principio di legittima difesa, sul piano politico tale logica contrappositiva è il dato più attuale in una destabilizzazione planetaria che va assumendo ogni giorno maggiore drammaticità e imprevedibilità».
Non a caso, continua il testo «i ripetuti appelli a incrementare le spese militari e le scelte che ne conseguono sono presentati da molti governanti con la giustificazione della pericolosità altrui. Infatti, la forza dissuasiva della potenza, e, in particolare, la deterrenza nucleare, incarnano l’irrazionalità di un rapporto tra popoli basato non sul diritto, sulla giustizia e sulla fiducia, ma sulla paura e sul dominio della forza». Un pericolo questo che avevano già visto i padri conciliari che, nella Gaudium et Spes, ribadirono le responsabilità delle classi politiche ne perseguire la pace. La guerra mondiale non era un ricordo lontano e la Chiesa voleva segnare la strada della non violenza per arginare conflitti e nuove guerre.
«Il rischio caratteristico della guerra moderna consiste nel fatto che essa offre quasi l’occasione a coloro che posseggono le più moderne armi scientifiche di compiere tali delitti e, per una certa inesorabile concatenazione, può sospingere le volontà degli uomini alle più atroci decisioni. Affinché dunque non debba mai più accadere questo in futuro, i vescovi di tutto il mondo, ora riuniti, scongiurano tutti, in modo particolare i governanti e i supremi comandanti militari, a voler continuamente considerare, davanti a Dio e davanti all’umanità intera, l’enorme peso della loro responsabilità», scrivevano allora con un appello che Leone fa proprio anche nel suo messaggio parlando delle nuove sfide poste, in ambito militare, dall’Intelligenza artificiale.
E conclude riprendendo Leone XIII e il suo appello a quanti sono chiamati a responsabilità pubbliche nelle sedi più alte e qualificate, perché «considerino a fondo il problema della ricomposizione pacifica dei rapporti tra le comunità politiche su piano mondiale: ricomposizione fondata sulla mutua fiducia, sulla sincerità nelle trattative, sulla fedeltà agli impegni assunti. Scrutino il problema fino a individuare il punto donde è possibile iniziare l’avvio verso intese leali, durature, feconde». Questa, dice Leone XIV, «è la via disarmante della diplomazia, della mediazione, del diritto internazionale, smentita purtroppo da sempre più frequenti violazioni di accordi faticosamente raggiunti, in un contesto che richiederebbe non la delegittimazione, ma piuttosto il rafforzamento delle istituzioni sovranazionali».
La Chiesa, in un tempo di destabilizzazione come questo, è chiamata a «motivare e sostenere ogni iniziativa spirituale, culturale e politica che tenga viva la speranza, contrastando il diffondersi di “atteggiamenti fatalistici, come se le dinamiche in atto fossero prodotte da anonime forze impersonali e da strutture indipendenti dalla volontà umana”. Se infatti “il modo migliore per dominare e avanzare senza limiti è seminare la mancanza di speranza e suscitare la sfiducia costante, benché mascherata con la difesa di alcuni valori” a una simile strategia va opposto lo sviluppo di società civili consapevoli, di forme di associazionismo responsabile, di esperienze di partecipazione non violenta, di pratiche di giustizia riparativa su piccola e su larga scala».




