Per troppo tempo la salute mentale è stata considerata un lusso. In Africa, spesso, lo è ancora.
In occasione della Giornata mondiale della salute mentale, Amref Health Africa e Ipsos hanno diffuso un’indagine che fotografa non solo la percezione degli italiani, ma anche la distanza tra consapevolezza e realtà. Se il 62% dei nostri connazionali ritiene che la malnutrizione sia la principale emergenza sanitaria africana, solo il 6% indica la salute mentale come priorità. Eppure, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, oltre un miliardo di persone nel mondoconvive con disturbi mentali, in gran parte non curati.



La ricerca “Africa e salute: l’opinione degli italiani”, realizzata da Ipsos per Amref, racconta come il tema della salute mentale resti marginale nel dibattito sulla cooperazione internazionale. Tuttavia, qualcosa sta cambiando.
La Generazione Z si dimostra più sensibile: il 62% di loro riconosce la salute mentale in Africa come un problema grave, contro il 58% della media nazionale. Un segnale che qualcosa, almeno nelle nuove generazioni, si muove.

«Per troppo tempo la salute mentale è stata considerata un lusso, soprattutto in Africa. Oggi abbiamo il dovere di trattarla per ciò che è: un diritto, non un privilegio», afferma Roberta Rughetti, direttrice di Amref Italia.
«Colmare questo divario che lascia senza cura il 75% delle persone nei Paesi a basso reddito è una responsabilità comune e non un’opzione».

Dietro i numeri ci sono le storie. Quelle di uomini e donne del Sud Sudan, il Paese più giovane al mondo e tra i più tormentati: due guerre civili in dieci anni, povertà endemica, il quarto tasso di suicidi più alto del continente. Qui un quinto della popolazione soffre o rischia di sviluppare disturbi psichiatrici.

A Mundri, nello Stato dell’Equatoria Occidentale, Paul Monday, leader dei giovani locali, racconta: «Abbiamo perso tutto e la notte non si riesce a dormire, tormentati dai pensieri di cosa ancora potrebbe accadere».
Eva, madre di una ragazza affetta da psicosi, aggiunge: «Mia figlia Penina ha dato fuoco alla nostra casa. In prigione ha incontrato un medico: oggi, grazie alle cure, sta meglio».

Storie come queste nascono dentro M(H)IND, un progetto che unisce AmrefMinistero della Salute del Sud SudanCaritas ItalianaCaritas South SudanBBC Media Action e il Who Collaborating Centre dell’Università di Verona, cofinanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS) e dalla Stavros Niarchos Foundation (SNF).




Ha 35 anni, si chiama Joy Falatiya e vive in un villaggio del Sud Sudan. Madre di cinque figli, dopo che il marito l’ha cacciata di casa si è ritrovata senza un tetto, senza cibo e senza speranza. «Volevo farla finita — racconta — portare i miei figli al fiume e buttarmi con loro. Non avevo alcun sostegno, nessuno su cui contare».

Un vicino le ha offerto una stanza in cui rifugiarsi, ma la svolta è arrivata quando Joy ha sentito parlare del centro di assistenza Caritas sostenuto dal progetto M(H)IND di Amref. Lì ha iniziato un percorso di supporto psicologico.
«Quando andavo al mercato mi fermavo per strada a parlare da sola, la notte mi svegliavo spaventata. Ora riesco a dormire, a lavorare, a prendermi cura dei miei figli. Il pensiero di farla finita è sparito».

Oggi Joy si mantiene preparando e vendendo ta’amia, una pietanza locale. «Se la gente la compra, quel giorno mangiamo. Se non la compra, dormiamo a stomaco vuoto. Ma almeno — dice sorridendo — so che non devo più arrendermi. Ho capito che la vita è di Dio, e che quando tornano i pensieri bui devo cercare aiuto, non la fine».