Da
un lato della strada il dipartimento di Ingegneria e Scienze
dell’Informazione. Dall’altro lato, distante pochi passi,
l’organismo che si occupa di valorizzare economicamente le menti
che l’ateneo forma e di attirare i migliori giovani scienziati che
il mondo può offrire.
La
filiera dei cervelli a Trento prende plasticamente forma attraverso
due edifici simbolo degli sforzi per invertire una tendenza che fa
vergognare il nostro Paese: quello che spinge i migliori
rappresentanti delle nuove generazioni a fuggire via in cerca di
lavori di alta specializzazione. “Non bastano l’agricoltura e il
turismo per garantire la ricchezza della nostra terra” si sono
detti i vertici della Provincia autonoma una manciata di anni fa. Due
le strade percorribili: o cercare di attirare grandi realtà
industriali “classiche” oppure cercare di trasformare il Trentino
nella Silicon Valley italiana.
Ma per farlo, bisognava trovare uno
strumento che si affiancasse alla formazione accademica, facendo da
tramite con gli investitori in Information technology e rendesse
quindi il territorio appetibile per i giovani talenti. Locali e
mondiali. Da
quell’intuizione nacque, a fine 2010, Trento Rise, associazione
compartecipata dall’Università di Trento e dalla Fondazione Bruno
Kessler. In poco tempo, il centro è diventato parte della rete di
cinque realtà (Berlino, Parigi, Helsinki, Eindhoven e
Stoccolma) impegnate nelle ricerche in
Tecnologie dell’Informazione per conto dell’EIT, lo European
Institute of Innovation and Technology.
Organismo sconosciuto ai non addetti ai lavori, ma cruciale
all’interno della Ue per rafforzarne la capacità innovativa.
“Noi
– spiega l’ingegner Paolo Traverso, direttore di Trento Rise –
vogliamo contribuire, attraverso l’ICT, a trasformare il Trentino
in una economia della conoscenza, competitiva e dinamica, puntando
sullo sviluppo sostenibile e la qualità della vita”. Di
buone intenzioni, si sa, è lastricata la via dell’Inferno. Ma, nel
caso trentino, gli auspici si sono trasformati in realtà: “I
giovani da tutto il mondo vengono qui perché c’è un humus
culturale e organismi adatti a sviluppare le loro idee”.
Il
messaggio di Trento Rise è chiaro e diretto: voi presentateci le
vostre idee. Noi selezioniamo le più originali e innovative. Vi
aiutiamo a svilupparle. E in più vi mettiamo in contatto con
potenziali investitori italiani ed esteri.
Per
raggiungere l’obiettivo, Trento Rise si serve di strumenti come
TechPeaks, non il classico incubatore di imprese ma un acceleratore
di talenti, che magari hanno grandi idee ma non sanno come
realizzarle.
Due i bandi lanciati finora. Entusiastica la
partecipazione dei giovani: 619 domande nel 2013 e 650 nella seconda
edizione, due terzi delle quali provenienti dall’estero. L’anno
scorso, ne sono state selezionate 63. Per quest’anno la scelta è
ancora in corso. Ai vincitori vengono affiancati “insegnanti
d’impresa” da tutto il mondo che li seguono e li aiutano a
sviluppare la propria idea trasformandola in una realtà
imprenditoriale.
“Mi ha colpito quanto mi disse uno dei vincitori
del bando” rivela Traverso. “Qui non sembra di essere in Italia.
Qui respiro la stessa aria della Silicon Valley, di Londra, di Start
Up Chile”. Finora da quelle 63 idee sono state realizzate 18 start
up, ciascuna delle quali ha ricevuto 25 mila euro per iniziare. Ma per
loro l’evento più importante è stato poter partecipare al Demo
Day. Una giornata importante, per i TechPeakers. Perché possono
incontrare decine di investitori, che potrebbero finanziare il loro
progetto.
Per le nuove imprese che ricevono finanziamenti privati, la
Provincia autonoma, tramite Trento Rise, è pronto a raddoppiarli
(fino a un massimo di 200 mila euro). A una condizione: che l’azienda
rimanga nel territorio trentino per almeno tre anni. “Queste sono
tutte imprese in alta tecnologia e, come si dice a Berkeley, un posto
di lavoro in questo settore induce la nascita di altri cinque posti
in settori connessi” osserva Traverso. “Il territorio diventa
quindi un ecosistema in cui diminuisce la disoccupazione e si
attirano investitori. E se anche un numero limitato di start up trova
finanziamenti e rimane in loco, comunque tutte hanno lasciato qui un
tesoretto di conoscenza di inestimabile valore”.
Ma
perché il miracolo accada serve un forte sostegno da parte delle
istituzioni locali, unito a una gestione amministrativa virtuosa.
“Tutto questo però non basta” commenta Gianfranco Cerea, docente
di Scienza delle Finanze all’università di Trento. “Serve anche
la presenza di un forte capitale sociale, frutto di un lento processo
di accumulazione culturale che qui è iniziato con 200 anni
d’anticipo rispetto al resto del Paese. Qui la scuola dell’obbligo
fu introdotta nel 1774 e ha permesso alla popolazione locale di
conoscere, capire e interagire a livelli altrove impensabili”.