Il risiko mediorientale ha restituito i curdi al ruolo della vittima designata, quello che rivestono da giusto un secolo, da quando le potenze occidentali, con il Trattato di Sévres del 1920, promisero loro quello Stato che non hanno mai avuto. E mentre l’esercito turco bombarda le loro posizioni nel Nord della Siria, il mondo resta col fiato sospeso: qual è il rischio concreto di una escalation? Dopo tutto, la Turchia è un Paese della Nato (anzi, è il Paese della Nato che vanta l’esercito più potente dopo quello Usa) e per questa operazione anti-curda ha ricevuto l’assenso proprio degli Usa. Dall’altro lato c’è la Siria di Bashar al-Assad, a cui il leader turco Erdogan vuole sottrarre una fascia di territorio lunga 480 chilometri (tanto è il confine tra i due Paesi) e profonda 30, con gli alleati russi e iraniani. È possibile, in queste condizioni, uno scontro globale?
Gli eventi sono drammatici ma le probabilità di un conflitto epocale ridotte. Basta osservare le reazioni dei Paesi più coinvolti e, in apparenza, più danneggiati dalle mosse della Turchia, ovvero Siria e Russia. Il ministero degli Esteri di Damasco, com’è ovvio, ha denunciato “le intenzioni ostili del regime turco” oltre che “l’oltraggiosa violazione delle leggi internazionali e delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che affermano il dovere di rispettare la sovranità e l’integrità territoriale della Siria”. Le autorità siriane si dicono decise ad affrontare “l’aggressione” della Turchia “con tutti gli strumenti legittimi”.
Nulla di inatteso. La parte davvero interessante, invece, arriva quando le stesse autorità denunciano “la complicità” di alcuni gruppi curdi con le politiche americane e si dicono disposte ad accogliere i cittadini siriani che si fossero lasciati “ingannare” nel recente passato. Tradotto dal politichese, tutto questo vuol dire: la Siria non vuole (né può) entrare in guerra con la Turchia; l’operazione di Erdogan andrà a colpire anche gruppi curdi che in questi anni si sono battuti contro (comunque non con) Assad; l’eventuale ricollocazione nella striscia occupata dei profughi siriani oggi ospitati in Turchia potrebbe convincere molti di loro a percorrere le poche decine di chilometri che a quel punto li separeranno dai villaggi e dalle città d’origine, dando impulso alla ricostruzione. E Assad, con quell’accenno al perdono, è pronto a riceverli.
La Siria, quindi, fa buon viso a cattivo gioco. Non può opporsi a una situazione ostile ma intravvede qualche possibile vantaggio. La prova del nove di questo atteggiamento sta nelle reazioni della Russia di Vladimir Putin, che dell’integrità territoriale della Siria ha fatto una bandiera. Il Cremlino, guarda caso, non critica Erdogan ma piuttosto Donald Trump e gli Usa, le cui azioni nel Nord della Siria negli ultimi anni, come ha detto il ministro degli Esteri Lavrov, “sono una violazione diretta delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu”. Ed ecco le azioni sotto accusa: “Gli americani hanno stabilito nella regione strutture quasi governative, che hanno mantenuto in funzione, promuovendo la questione curda e provocando dissenso fra tribù arabe che vivono in questi territori”.
Anche qui, dunque, poca empatia con i curdi e poche critiche a Erdogan. Che anzi, secondo Lavrov, avrebbe assicurato al Cremlino che la spedizione militare non intaccherà la sovranità e l’integrità territoriale della Siria. Cosa impossibile (come si può occupare un territorio altrui senza violare l’integrità del territorio stesso?) a meno che…
A meno che anche tra Putin, Assad ed Erdogan si sia sviluppata una sorta di patto tacito (o segreto) con un po' di convenienza per tutti. Di Assad abbiamo detto. La Russia di Putin evita di impantanarsi in una battaglia crudele, con migliaia di morti civili, com’era quella che si stava sviluppando a Idlib, e conserva la cordiale intesa con la Turchia. Erdogan può bastonare i curdi del Rojava, arrivati vicini a costruire uno Stato curdo indipendente, e con i 23 mila uomini dell’operazione “Fonte di pace” (il precedente attacco ai curdi si chiamava “Ramoscello d’ulivo”, ma chi li studia questi nomi?) dà una dimostrazione di potenza che gli può servire anche sul fronte interno, dove il consenso non è più quello di un tempo.
Solo l’Europa protesta, chiede rispetto per i curdi, ammonisce questo e quello. Non fa tenerezza?