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domenica 18 maggio 2025
 
Vaticano
 

Leone XIV: «La Chiesa sia faro che illumina le notti del mondo»

09/05/2025  Nella sua prima messa, il nuovo Pontefice ricorda la sua missione di Pontefice, ma anche che la Chiesa è chiamata a dare un annuncio gioioso di Gesù, non grazie alla sua ricchezza e potenza, ma alla santità dei suoi uomini

Celebra la prima messa nella cappella Sistina dove, meno di 24 ore prima, era ancora un semplice cardinale elettore. Comincia con un saluto a braccio in inglese, Papa Leone XIV, ricordando ai cardinali che lo hanno eletto che «le parole del Salmo responsoriale: "Canterò un canto nuovo al Signore, perché ha compiuto meraviglie". E non solo con me», conitnua papa Leone, «ma con tutti noi. Miei fratelli cardinali, mentre celebriamo questa mattina, vi invito a riconoscere le meraviglie che il Signore ha compiuto, le benedizioni che il Signore continua a riversare su tutti noi attraverso il Ministero di Pietro. Mi avete chiamato a portare quella croce e ad essere benedetto con questa missione, e so di poter contare su ognuno di voi affinché cammini con me, mentre continuiamo come Chiesa, come comunità di amici di Gesù, come credenti ad annunciare la Buona Novella, ad annunciare il Vangelo». Legge poi in italiano. Nella sua omelia sul Vangelo di Matteo che parla proprio dell’investitura di Pietro da parte di Gesù come capo della Chiesa, ricorda la domanda centrale del Maestro a Pietro sulla sua identità e sulla risposta di questi: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». È così che Pietro «esprime in sintesi il patrimonio che da duemila anni la Chiesa, attraverso la successione apostolica, custodisce, approfondisce e trasmette. Gesù è il Cristo, il Figlio del Dio vivente, cioè l’unico Salvatore e il rivelatore del volto del Padre». Dio si è reso, incarnandosi in un bambino, «vicino e accessibile agli uomini». E, continua il Papa, «ci ha mostrato così un modello di umanità santa che tutti possiamo imitare, insieme alla promessa di un destino eterno che invece supera ogni nostro limite e capacità. Pietro, nella sua risposta, coglie tutte e due queste cose: il dono di Dio e il cammino da percorrere per lasciarsene trasformare, dimensioni inscindibili della salvezza, affidate alla Chiesa perché le annunci per il bene del genere umano».

E poi sottolinea che Dio, chiamandolo a succedere a Pietro attraverso il voto dei cardinali elettori, ha affidato a lui «questo tesoro», «perché, col suo aiuto, ne sia fedele amministratore a favore di tutto il Corpo mistico della Chiesa; così che Essa sia sempre più città posta sul monte, arca di salvezza che naviga attraverso i flutti della storia, faro che illumina le notti del mondo». E questo non per la «magnificenza delle sue strutture o per la grandiosità delle sue costruzioni – come i monumenti in cui ci troviamo –, quanto attraverso la santità dei suoi membri, di quel “popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui, che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa”».

Alla domanda di Gesù: «La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?», si può rispondere in due modi. Una risposta del mondo ricco e potente. Che dice che c’è un «mondo che considera Gesù una persona totalmente priva d’importanza, al massimo un personaggio curioso, che può suscitare meraviglia con il suo modo insolito di parlare e di agire. E così, quando la sua presenza diventerà fastidiosa per le istanze di onestà e le esigenze morali che richiama, questo “mondo” non esiterà a respingerlo e a eliminarlo».

Un’altra «possibile risposta alla domanda di Gesù: quella della gente comune. Per loro il Nazareno non è un “ciarlatano”: è un uomo retto, uno che ha coraggio, che parla bene e che dice cose giuste, come altri grandi profeti della storia di Israele. Per questo lo seguono, almeno finché possono farlo senza troppi rischi e inconvenienti. Però lo considerano solo un uomo, e perciò, nel momento del pericolo, durante la Passione, anch’essi lo abbandonano e se ne vanno, delusi».

Sono entrambi atteggiamenti attuali. «Anche oggi non sono pochi i contesti in cui la fede cristiana è ritenuta una cosa assurda, per persone deboli e poco intelligenti; contesti in cui ad essa si preferiscono altre sicurezze, come la tecnologia, il denaro, il successo, il potere, il piacere», dice Leone XIV. «Si tratta di ambienti», conclude, «in cui non è facile testimoniare e annunciare il Vangelo e dove chi crede è deriso, osteggiato, disprezzato, o al massimo sopportato e compatito. Eppure, proprio per questo, sono luoghi in cui urge la missione, perché la mancanza di fede porta spesso con sé drammi quali la perdita del senso della vita, l’oblio della misericordia, la violazione della dignità della persona nelle sue forme più drammatiche, la crisi della famiglia e tante altre ferite di cui la nostra società soffre e non poco».

E poi non mancano contesti in cui «Gesù, pur apprezzato come uomo, è ridotto solamente a una specie di leader carismatico o di superuomo, e ciò non solo tra i non credenti, ma anche tra molti battezzati, che finiscono così col vivere, a questo livello, in un ateismo di fatto».

Il nuovo Papa non si spaventa, anzi ricorda che è questo «il mondo che ci è affidato, nel quale, come tante volte ci ha insegnato Papa Francesco, siamo chiamati a testimoniare la fede gioiosa in Gesù Salvatore. Perciò, anche per noi, è essenziale ripetere: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”».

Bisogna farlo «prima di tutto nel nostro rapporto personale con Lui, nell’impegno di un quotidiano cammino di conversione. Ma poi anche, come Chiesa, vivendo insieme la nostra appartenenza al Signore e portandone a tutti la Buona Notizia», dice citando il Concilio Vaticano II.

«Dico questo prima di tutto per me, come Successore di Pietro», conclude, «mentre inizio la mia missione di Vescovo della Chiesa che è in Roma, chiamata a presiedere nella carità la Chiesa universale, secondo la celebre espressione di Sant’Ignazio di Antiochia. Egli, condotto in catene verso questa città, luogo del suo imminente sacrificio, scriveva ai cristiani che vi si trovavano: “Allora sarò veramente discepolo di Gesù Cristo, quando il mondo non vedrà il mio corpo”. Si riferiva all’essere divorato dalle belve nel circo – e così avvenne –, ma le sue parole richiamano in senso più generale un impegno irrinunciabile per chiunque nella Chiesa eserciti un ministero di autorità: sparire perché rimanga Cristo, farsi piccolo perché Lui sia conosciuto e glorificato, spendersi fino in fondo perché a nessuno manchi l’opportunità di conoscerlo e amarlo».

Il Pontefice, all’inizio della sua missione chiede a Dio che gli dia «questa grazia, oggi e sempre, con l’aiuto della tenerissima intercessione di Maria Madre della Chiesa».

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