«Oltre il 30 per centro degli incidenti oggi è dovuto all’inadeguatezza o all’impreparazione generale». Dopo l’ultima tragedia in montagna, che ha visto coinvolti due uomini della Brianza, dispersi sabato sulla Grignetta (Lecco) e i cui corpi sono stati avvistati soltanto oggi, parliamo di sicurezza con Alberto Pirovano, coordinatore dell’Osservatorio nazionale incidenti in montagna dei Club alpino italiano e già presidente della prestigiosa sezione Cai dei Ragni di Lecco.
Come mai sempre tanti incidenti in montagna?
«Dopo la pandemia sono aumentati gli escursionisti e gli “alpinisti improvvisati” e sono aumentati gli incidenti. Con la crisi climatica poi, le condizioni si fanno sempre più pericolosamente mutevoli. Prendiamo il caso delle valanghe: qualche anno fa si stimava in 20 minuti la sopravvivenza di un travolto illeso. Oggi che la neve è più bagnata e quindi pesante, la curva di sopravvivenza crolla dopo 15 minuti. Un peso ce l’ha anche la narrazione delle esperienze in montagna via social network: brevissimi filmati o storie in cui si mitizzano i solo aspetti positivi dell’esperienza. Invece per andare in montagna serve consapevolezza e una preparazione adeguata».
D’inverno la montagna è più insidiosa che nelle altre stagioni?
«Aumenta la probabilità di rischio: i sentieri e la segnaletica sono coperti dalla neve e occorre saper riconoscere la stabilità o meno del manto nevoso».
La Grignetta non fa eccezione…
«Decisamente no. Siccome per i Lombardi Grigna, Grignetta e Resegone sono montagne “vicino a casa” ad alcuni danno l’impressioni di essere anche facili, a portata di mano, ma non è così. In inverno si trasformano: versanti, condizioni meteo e temperature diventano più ostici».
Si può andare in montagna d’inverno?
«Certamente. Anche se, per quanto possa suonare impopolare, la montagna è di tutti ma non è per tutti. La montagna è per chi ha l’umiltà di avvicinarvisi con consapevolezza e preparazione. Oggi si pensa che tutti, velocemente, possiamo diventare alpinisti: invece è indispensabile una certa preparazione».
Siamo vittime del prestazionismo anche in quota…
«Si vogliono bruciare le tappe, diventare velocemente alpinisti, mentre occorre maturare esperienza. A penalizzare è anche l’approccio superficiale ad alcune attività come le ciaspolate: un conto è camminare su una strada forestale innevata, un altro è avventurarsi su per pendii vergini. Non si tratta solo di mettere un piede dopo l’altro ma di saper leggere lo stato di pericolosità dei versanti».
A volte non si vuole vedere l’evidenza…
«Parliamo di trappole euristiche, meccanismi che ci autoassolvono, ci fanno sentire nella comfort zone. Qualche esempio: vedo delle tracce e mi convinco che se qualcuno è già passato di lì posso farlo anche io. Oppure, si pensa “ho programmato la gita e percorso chilometri in auto, non potrò mica tornare indietro”. Si fa fatica a rinunciare. Consiglio di avere sempre un piano B: un’alternativa di gita se, sull’itinerario previsto, le condizioni non fossero sicure. Un altro inganno della mente è poi pensare che un itinerario sia fattibile in inverno perché lo si è già percorso in estate. Tornare a casa non è mai una vergogna».
Come affrontare, quindi, un’escursione in sicurezza?
«Ripeto: occorre, innanzitutto, avere consapevolezza di sé e del rischio. È utile frequentare i corsi del Club alpino e iniziative come Sicuri in montagna, sempre promosse dal Cai, come anche appoggiarsi alle Guide alpine».
Nella pratica?
«Iniziare raccogliendo informazioni su meteo e condizioni nivologiche, ma non bastano i dispacci generalisti: occorre affidarsi ai bollettini specialistici messi a disposizione dalle Agenzie regionali protezione ambiente (Arpa) e contattare guide alpine e rifugisti per conoscere le condizioni locali. Non dimentichiamo poi i fondamentali: abbigliamento consono, rifornimenti e il telo termico, indispensabile per mantenere la temperatura corporea in caso di incidente».
La tecnologia aiuta?
«Sì, ma può anche trarre in inganno: mai farvi del tutto affidamento. Il telefono, con annessi sistemi di geolocalizzazione, funziona se la batteria è carica. È comunque sempre bene averlo: è indispensabile per allertare i soccorsi. Ricordo che anche in assenza di copertura del segnale la chiamata al 112 è possibile agganciandosi a un altro operatore. Se non c’è campo ma il telefono è carico, il sistema IMSI catch di cui sono dotati gli elicotteri permette di localizzare il dispositivo. Quindi: utile avere con sé un power bank e dotarsi di sistema Recco, piccolo dispositivo per la ricerca passiva: permette di essere individuati. Suggerirei poi di scaricare app specifiche come Where Are U, attiva in molte Regioni, per mettersi in contatto con la centrale operativa del 112 con tutti i propri dati personali già accessibili, o GeoResQ, l’applicazione del Cai accessibile a tutti gratuitamente, in grado di tracciare anche i percorsi. In ambiente innevato è poi obbligatorio per legge essere equipaggiati con il kit di autosoccorso Artva, pala e sonda. E saperlo usare, ovviamente: se si rimane coinvolti in valanga, l’intervento dei compagni è di importanza vitale».