Pino Daniele negli anni '80
Di Pino daniele si dice che sia un orso pronto a tirare fuori gli artigli quando qualcosa non gli va. Ma dopo aver parlato cinque minuti con lui nella hall di un albergo milanese ci viene in mente una celebre battuta del suo grande amico Massimo Troisi in Ricomincio da tre quando, incalzato da Lello Arena con la fatidica domanda “E' meglio un giorno da leone o cento da pecora?” se ne esce con un fulminante: «Meglio cinquanta giorni da orsacchiotto». Sarà che l’anno prossimo compirà 60 anni, sarà che si diverte come un bambino a suonare con i vecchi amici di trent’anni fa, fatto sta che l’orso, se c’era, oggi appare decisamente addolcito. Gli amici sono i musicisti con cui nel 1980 registrò il suo disco più famoso, Nero a metà, che ora, sempre con loro, porta in tour dal 6 dicembre, dopo un’anteprima all’Arena di Verona.
Nero a metà è sicuramente lui, con la sua doppia anima partenopea e afroamericana, acquisita da ragazzino: «Andavo al porto di Napoli e con i marinai arrivavano queste musiche così nuove, trascinanti: il blues, il jazz, il rock». Ma Neri a metà sono soprattutto i tanti bambini di quei marinai afroamericani che, dopo aver vissuto un fugace amore durante e dopo la fine della guerra, se ne tornavano in patria sui loro “bastimenti”, lasciando a terra madri e figli. Figli come James Senese, il magnifico sassofonista che accompagna Pino: «Da bambino avevo tanti amici come lui». Gli anni di Nero a metà, ricorda Pino, furono «magici per chi voleva fare musica. Oggi c’è molta più competizione e nei talent show vince chi sa strabiliare di più. Alla fine il risultato è che sembrano tutti uguali. Noi cantautori, invece, puntavamo sui contenuti, cercavamo di costruirci una nostra precisa identità, tanto nei testi quanto nella musica».
Con Massimo Troisi nel 1991
Un’eredità che, secondo Pino, è stata raccolta dai rapper: «In passato ho collaborato con Jovanotti e J-Ax. E ora nel tour canterò con Rocco Hunt e Clementino. Sono dei veri poeti metropolitani che sanno raccontare la realtà, anche con durezza, quando è necessario». Il cantautore confessa di cercare di non pensare al tempo che passa, perché «un po’ mi fa paura. Tutto è diventato più veloce, anche il rapporto con i figli e per un genitore penso sia diventato più difficile stare al passo con loro, specie quando diventano grandi».
Anche le canzoni sono figli. Solo alcune, però, diventano grandi: non solo perché le ricordiamo a distanza di anni, ma perché a volte acquistano nuovi significati, del tutto imprevedibili all’autore nel momento in cui le ha scritte. Prendiamone una da Nero a metà: Voglio di più. Pino ci racconta che nasce come un atto di ribellione nei confronti degli aspetti più sterili dei movimenti giovanili degli anni ’70. Ma se leggiamo gli inizi delle due strofe con gli occhi di oggi («Io che ho visto la terra bruciare, e la gente che mi entrava in casa», «Ed ho visto morire bambini nati sotto un accento sbagliato») viene automatico pensare alla “terra dei fuochi” e ai drammi della gente che vive in quei bellissimi luoghi sfregiati dalla camorra. «È la stessa cosa che capita con Napule è», commenta il cantautore. «Avevo 18 anni quando l’ho scritta e molti mi dicono che è come se l’avessi scritta oggi».
È vero, nei versi dedicati alla sua città, Pino esprime tutte le sue contraddizioni: «Napule è ’a voce de’ criature che saglie chianu chianu e tu sai ca nun si sulo», ma anche «Napule è ’na carta sporca. E nisciuno se ne importa ». Non è dunque cambiato niente? «Napoli si è molto trasformata, ma una certa mentalità è ancora radicata. Napoli, poi, ha sempre avuto un problema demografico, specie nelle periferie. Negli ultimi anni la popolazione è aumentata ancora e questo acuisce i conflitti». Sempre a proposito di Napoli, Pino ricorda un incontro a cui tiene molto. «Un giorno io e Massimo Troisi, per il quale scrissi le colonne sonore di tre film, fummo convocati da Eduardo. Voleva conoscerci perché gli piaceva il nostro lavoro, il tentativo di raccontare Napoli oltre i soliti stereotipi. Abbiamo assorbito un po’ della sua saggezza». Altre canzoni di Nero a metà sono più personali, come Appocundria: «È un senso di nostalgia mista a indolenza, difficile da definire, come la saudade per i brasiliani. Non è nostalgia verso una persona o un luogo, è uno stato d’animo che ti accompagna. Di sicuro ho nostalgia dei tempi dove si suonava dappertutto e anche in Tv c’erano varietà meravigliosi come Studio Uno con le orchestre che accompagnavano dal vivo i cantanti».
Oppure, Musica musica in cui canta: «Per la musica musica, quanto ho pianto non lo so. Ma la musica musica è tutto quel che ho». Commenta Pino: «La musica, se la fai sul serio, è sacrificio. Io ogni giorno prendo una chitarra e studio, per ore e ore. Per me è come mangiare, non riesco a farne a meno. E solo con la musica riesco a comunicare davvero agli altri cosa ho dentro».