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martedì 25 marzo 2025
 
giornata mondiale dell'obesità
 

Quattro italiani su dieci in sovrappeso. Tutti i rischi per la salute, falsi magri compresi

04/03/2025  Gli esperti lanciano l’allarme nel Paese della dieta mediterranea: il problema non è solo nel cibo ma nello stile di vita. E bisogna pensarci sin da bambini

L’obesità è una questione globale, che riguarda tutti noi, nessuno escluso. Sì, anche le persone che non devono lottare quotidianamente con la bilancia (tecnicamente definite “normopeso”) e pure coloro che hanno solo un po’ di pancetta, volgarmente detti “falsi magri”.

L’allarme lo hanno lanciato, tra gli altri, gli esperti dell’Istituto nazionale tumori di Milano che, in occasione della Giornata mondiale dell’obesità – che si celebra il 4 marzo in tutti i continenti – richiamano l’attenzione su un aspetto cruciale e troppo spesso sottovalutato: l’eccesso di grasso non riguarda solo chi è in sovrappeso e rappresenta un importante fattore di rischio nello sviluppo dei tumori.

I numeri: un’epidemia anche in Italia

L’allerta è planetaria: secondo IQVIA Italia (leader mondiale nell’analisi di dati sanitari e farmaceutici), la prevalenza dell’obesità nel mondo dovrebbe aumentare dal 16% della popolazione del 2022 al 25% (un adulto su 4) entro il 2035, coinvolgendo quasi 2 miliardi di persone.

Non pensiamo sempre solo agli Stati Uniti, anche il nostro Paese inizia a far emergere dati inquietanti sulla diffusione dell’obesità: in Italia infatti 4 adulti su 10 pesano troppo (3 su 10 sono in sovrappeso e uno è obeso). Il dato emerge dallo studio “Passi” dell’Istituto superiore di sanità (2023), che monitora i principali fattori di rischio per le malattie cronico-degenerative e riguarda gli italiani tra i 18 e i 69 anni.

Lo studio specifica anche che il sovrappeso è più diffuso tra gli uomini (52%) rispetto alle donne (34%), tra le persone con difficoltà economiche (52%) rispetto a chi non ne ha (39%) e tra chi ha un basso livello di istruzione (63%) rispetto ai laureati (32%). Tra le regioni la situazione è più critica al Sud, dove le percentuali più alte sono in Molise e Campania.

Bambini ad alto rischio

Il quadro non è più incoraggiante se si parla di bambini: l’Italia è al secondo posto in Europa per bambini e bambine sovrappeso e obesi nella fascia di età 7-9 anni (37%).

Secondo lo studio di sorveglianza nazionale “Occhio alla salute” nel nostro Paese il 19% risulta in sovrappeso e il 10% obeso. Anche in questo caso il Sud detiene il primato negativo, con la Campania che sfiora il 44% di prevalenza di eccesso ponderale.

«È importante tenere sotto controllo i bambini obesi o in sovrappeso», dice Danilo Fintini, dell’Unità operativa di Endocrinologia e diabetologia dell’ospedale Bambino Gesù di Roma «perché hanno un rischio maggiore di sviluppare malattie croniche da adulti. Affrontare il problema precocemente permette di prevenire complicanze e di favorire una crescita sana». Solo nell'ultimo anno sono stati più di 1.300 i bambini seguiti dall’ospedale romano per problemi di peso.

Non sottovalutiamo la “pancetta”

Il problema non sono soltanto i chili di troppo quanto piuttosto la distribuzione del grasso stesso nel corpo. «Esistono persone apparentemente normopeso, ma con un’eccessiva concentrazione di grasso viscerale (la cosiddetta “pancetta”), il più pericoloso per la salute», dichiara Sabina Sieri, direttrice della Struttura complessa di Epidemiologia e prevenzione dell’Istituto nazionale tumori di Milano.

«Questa condizione compromette la salute metabolica di queste persone, che presentano gli stessi fattori di rischio solitamente riscontrati nell'obesità, tra cui resistenza insulinica, iperglicemia, dislipidemia e ipertensione».

Quindi il punto è: l’addome sporgente non è solo una questione di estetica. Anzi, è principalmente un problema di salute. Per grasso viscerale si intende sia quello visibile (la tanto fastidiosa “pancetta”) sia quello invisibile, che si deposita attorno agli organi interni della cavità addominale: stomaco, fegato, intestino e cuore. Esso produce sostanze infiammatorie di lunga durata, aumentando notevolmente il rischio di malattie cardiovascolari.

Una sorta di obesità nascosta «associata a una aumentata insorgenza di malattie cardiometaboliche e tumori, avvicinando questi soggetti ai livelli di rischio di chi è clinicamente obeso», spiega la dottoressa Sieri.

Prendiamo le misure

Non contano più solo i chili sulla bilancia ma anche i centimetri. Gli esperti fanno riferimento a due tipi di misurazione: il Bmi (Body mass index, in italiano Indice di massa corporea) e il girovita.

Per il primo serve una semplice operazione: si divide il peso (in chili) per l’altezza al quadrato (espressa in metri). In base ai criteri dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), se il valore è inferiore a 18 si è sottopeso, se è compreso tra 18,5 e 25 si è normopeso, se va da 25 a 30 si è sovrappeso, mentre oltre il 30 si parla di obesità. Questo indicatore ha un limite: non fornisce informazioni sulla composizione corporea (massa grassa, massa magra, livello di idratazione) e questo, come abbiamo visto, non è un dettaglio da poco.

Per misurare il girovita basta un metro di sarta: posizioniamolo all’altezza dell’ombelico (a metà strada tra la parte superiore dell’osso dell’anca e quella inferiore della costola più bassa). Secondo il Codice europeo contro il cancro (Oms) è considerato ad alto rischio un girovita che supera i 102 centimetri negli uomini e gli 88 nelle donne. La misura raccomandata è rispettivamente di 94 e 80.

 

Riscopriamo la “vera” dieta mediterranea

Ma come è possibile – viene da chiedersi – proprio nel nostro Paese, patria della dieta mediterranea? La causa principale è da ricercare nello stile di vita.

In primo luogo la sedentarietà: scarsa attività fisica, spostamenti a piedi o in bici pari a zero, dipendenza “tossica” dai dispositivi digitali, sono tutte abitudini che non fanno che favorire l’aumento di peso.

E poi c’è quello che mangiamo: nel nostro piatto troppo spesso finiscono cibi ultraprocessati, ipercalorici, ricchi di additivi, poveri di fibre e nutrienti sani, che hanno come effetto principale l’aumento del peso.

«Quello che va riscoperto è il significato più profondo della dieta mediterranea», commenta Annamaria Colao, docente ordinaria di Endocrinologia e malattie del metabolismo all’Università Federico II e direttrice del Dipartimento assistenziale integrato di Endocrinologia, diabetologia, andrologia e nutrizione presso l’Azienda universitaria Policlinico Federico II di Napoli. «Non solo come programma nutrizionale – che privilegia frutta e verdura fresche di stagione, prodotti latteo-caseari, cereali integrali e olio d’oliva extravergine – ma come stile di vita che esalta la sostenibilità (considerando la stagionalità dei consumi) e la socialità, rivalutando la condivisione dei pasti come un ingrediente fondamentale della dieta stessa. Tutte cose che dovremmo insegnare alle nuove generazioni, proprio per evitare che diventino gli obesi del futuro».

Il legame con i tumori

Un altro campanello d’allarme arriva dallo studio EPIC (European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition), un’indagine europea che da decenni osserva mezzo milione di persone per analizzare le associazioni tra alimentazione e malattie. I risultati confermano il legame tra obesità e sviluppo di tumori, tra cui quelli al colon, alla prostata, all’endometrio e al pancreas. «L’obesità inoltre compromette la prognosi oncologica», aggiunge Filippo De Braud, direttore del Dipartimento e della Divisione di Oncologia medica dell’Istituto nazionale tumori di Milano «danneggiando la funzionalità degli organi e aumentando la tossicità delle terapie».

 

 

 

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