Alle 17 del 24 luglio nella sala del Pappagallo di Palazzo Venezia si riunì lo storico Gran Consiglio, protrattosi fino alle prime ore del 25, che, a larga maggioranza, approvò la mozione presentata da Grandi per le dimissioni del duce e l'uscita immediata dal conflitto. Ma, incoraggiato da alcuni messaggi di pentiti, tra coloro che lo avevano sfiduciato, ricevuti nella stessa mattinata, Mussolini chiese al re di poter anticipare l'udienza: pensava di poter godere del suo appoggio per rimettere a posto le cose. Perciò, il piano, fu immediatamente cambiato: Vittorio Emanuele III avrebbe visto Mussolini alle 17 a Villa Savoia, poiché era domenica e il sovrano si trovava nella sua residenza privata e, uscendo da lì, il duce sarebbe stato portato via dalla famosa autoambulanza. Del piano per la cattura del duce, Maria Josè sapeva fin dal 19, quando Arena ne era stato informato da Castellano. Così come sapeva che la mozione Grandi avrebbe provocato la caduta del regime. Tuttavia, apprese solo dalla radio che l'arresto era stato anticipato di un giorno.
Inoltre, la notte del 24, in ansia per il protrarsi del Gran Consiglio, aveva mandato Sofia dai Colonna, nel cui salotto si era riunito un gruppo di persone che aspettava la telefonata di conferma da parte di Galeazzo Ciano. Quest’ultimo, però, chiamò soltanto alle 3.30 del mattino. E a quell'ora Sofia, trafelata, si precipitò al Quirinale dove, con la complicità di un corazziere, riuscì a informare di tutto la principessa, anche del commento che Ciano aveva sentito borbottare al suocero, subito dopo essere stato sfiduciato: «Almeno al Quirinale, la Principessa di Piemonte sarà soddisfatta». Ma lei non è tipo di vane esultanze. Rievocando quel giorno decisivo nella storia del nostro Paese, rammentava la collera della regina Elena verso il marito che si era prestato a fare arrestare Mussolini in casa propria, violando i doveri di ospitalità, ancora più sacri nella sua cultura montenegrina, ma anche una rara confidenza del re, il quale aveva svelato al figlio e agli altri familiari di aver tenuto una rivoltella in tasca durante l' ultimo colloquio con il duce: «Perché di quello lì, non c'è da fidarsi».
Il 26 luglio, mentre teneva in braccio la piccola Maria Beatrice, Maria Josè vide da una finestra del Quirinale abbattere con violenza un busto del duce e altre insegne fasciste in via della Datari a e non poté fare a meno di pensare come fosse mutevole la folla, che fino a pochi giorni prima aveva osannato il capo del fascismo. Con lo stesso spirito, partecipando a una riunione della Croce Rossa, accompagnata da Zanotti Bianco e Sofia, il 27 luglio appunta sul suo diario di aver notato che molti dirigenti, a cominciare dall'allora presidente, «tenevano la mano in tasca, per non ricadere nell'automatico saluto romano». Tra il 26 e il 27 molti di quei personaggi politici che il suocero aveva sempre tenuto in disparte si fanno vivi con la principessa, gioendo per la caduta del fascismo: Bonomi , De Gasperi, Carandini, Storoni. La chiama, al Quirinale, anch e Croce e smorza l'euforia di Zanotti Bianco: liberatasi di Mussolini, «l'Italia doveva ancora affrontare Hitler che era un osso molto più duro!». Il 26 luglio arriva dalla principessa anche Carlo Antoni, che scrive nei suoi ricordi: "Del colpo di stato del 25 luglio ebbi notizia, due ore prima dell'annuncio uifficiale, dalla Benzoni. Il giorno dopo mi recai in udienza dalla Principessa. Ero felice e, credendo di farle piacere, dissi che ritenevo che la Monarchia fosse salva. Sorrise con scetticismo. Ottenni da lei che intervenisse per far mettere in libertà subito i miei amici Guido De Ruggiero e Guido Calogero, che erano detenuti nel carcere di Bari".