Davanti a problemi scientifici controversi, dove ci sono rischi elevati – e soprattutto non perfettamente conosciuti - per la salute dei singoli o della collettività, è buona regola il principio di precauzione: meglio avere qualche limite in più, anziché esporre le persone o la comunità a tali rischi.
Il nostro Paese in tempi di Covid ha esercitato con una certa coerenza questo principio: lockdown integrale per mesi (anche ben al di là delle indicazioni della scienza, come dimostrano i verbali del Comitato Tecnico Scientifico), distanziamento, droni sulle spiagge ad inseguire persone isolate che prendono il sole, mascherina anche all’aperto (vedi la Lombardia per lunghi mesi), messe con non più di 200 persone… Tutti ricordiamo con chiarezza il valore di questo principio, che abbiamo sperimentato sulla nostra pelle, alcuni soffrendolo. Siamo stati tutti disposti a sacrificare la nostra libertà personale, perché «meglio una protezione in più che una contagio».
Ora invece, sulla vicenda della Ru 486, il Ministero della Salute (il Ministro Speranza in prima persona, che “ci ha messo la faccia”), in risposta alla decisione della Regione Umbria di rispettare con più rigore le Linee Guida in vigore, preferisce abbandonare le Linee Guida vigenti, che imponevano un ricovero ospedaliero “cautelativo” (appunto!) di più giorni, e ipotizzare Linee Guida innovative, che prevedono il solo day hospital: «prendi questa pillola davanti ad un medico, stai lì una mezz’oretta, e poi torni a casa». Come se fosse una qualunque aspirina. E probabilmente anche il (CSS - Comitato Superiore della Sanità) emanerà un provvedimento di questo tipo – per di più, probabilmente, allungando il periodo di tempo in cui tale farmaco può essere assunto, passando da 49 giorni (sette settimane) a 63 giorni. Nemmeno una notte in ospedale, per essere più sicuri che non accada qualcosa di imprevisto su cui dover intervenire tempestivamente. Le donne di fatto sono lasciate sole, rispedite a casa, davanti ad un farmaco potente (talmente potente che può interrompere una vita nascente), del cui impatto sulla salute presente e futura della donna stessa nessuno si sente di garantire, con evidenze scientifiche alla mano, che “è come prendere un’aspirina”. Una deregulation improvvisa, che pare proprio contraddittoria, rispetto a tanti altri provvedimenti – anche sulla salute – di questo Governo.
Sembra una battaglia di progresso e di “deburocratizzazione”, per accelerare tempi e libertà di scelta; peccato che venga combattuta solo a corrente alternata, per un provvedimento dal forte sapore ideologico, divisivo, e soprattutto privo di quel “criterio di precauzione” che tuttora spinge lo stesso Ministro Speranza a dire: “Non abbassiamo la guardia… la tempesta è finita ma non siamo ancora in un porto sicuro”. Forse la vita delle singole donne che chiedono di interrompere la gravidanza è meno importante della salute pubblica che dobbiamo custodire di fronte alla pandemia? Dispiace che il Ministro si presti a questo scontro ideologico, dopo aver dato nel complesso una buona prova di sé, durante i frenetici e difficili mesi della pandemia, e anche in questi altrettanto complessi mesi di “fase 3”. E’ proprio vero che l’ideologia è una benda che ti copre gli occhi, e ti impedisce di guardare la realtà! Per amore di chiarezza: se proprio RSU 486 deve essere, come la legge purtroppo prevede (e questo non ci è mai piaciuto, conviene ripeterlo), che almeno questo farmaco sia somministrato in condizioni protette e assistite. Meglio un giorno in più in ospedale che la solitudine a casa propria: non si sa mai...