Caro Direttore,
le chiedo spazio per offrire qualche chiarimento in merito al commento di Francesco Gaeta: "Caro Fassina, sull'evasione fiscale non si "scherza"". Il dottor Gaeta giudica, in compagnia di autorevoli uomini e donne del centrosinistra, un errore l'analisi sull'evasione svolta dal sottoscritto, reo di aver distinto nell'universo delle risorse nascoste alla fiscalità e alla contribuzione sociale, "un'evasione di sopravvivenza", insieme a un’evasione per acuto egoismo sociale e a un’evasione per ribellismo anti-Stato.
In particolare, la distinzione da me proposta - esposta più volte dal 2008 su L'Unità, su altri quotidiani e, in forma più sistematica, in un libro del febbraio 2012 Il lavoro prima di tutto - è stata interpretata come strumentale premessa economica e morale per poter arrivare alla tolleranza rassegnata di una fetta rilevante di evasione. In altri termini, in una interpretazione benevola, la mia analisi è diventata una versione da "sinistra pragmatica" del principio, sostenuto dalla destra populista, del "diritto naturale" all'evasione verso lo "Stato criminogeno", usurpatore di una quota della ricchezza prodotta dall'iniziativa individuale, presentata come astratta dalle relazioni di comunità e indipendente dalle condizioni di contesto costruite dall'intervento pubblico (dalla sicurezza alla difesa, dalla scuola alla giustizia, dalla sanità alle infrastrutture).
O, in altri commenti, secondo un’interpretazione in linea con il paradigma dominante dell'immoralità della politica, le mie parole sono state lette come goffo tentativo di scimmiottare la destra per raccattare qualche voto da parte di una sinistra sbandata sul piano etico, prima che politico e programmatico.
In realtà, come indicato negli scritti richiamati e come sottolineato nella discussione con il direttivo nazionale di Confcommercio a Roma il 25 Luglio scorso, l'analisi differenziata dell'evasione è condizione necessaria per un’efficace promozione della fedeltà fiscale, imprescindibile obiettivo di cittadinanza democratica. Analisi differenziata vuol dire riconoscere che in Italia, come negli altri paesi dell’Europa mediterranea (per rimanere dalle nostre parti), esiste una evasione di sopravvivenza, ossia attività produttive che, senza una parte di fatturato occultata, perirebbero. Non si tratta soltanto di attività ufficiali o in nero di lavoro autonomo, imprenditoriale o professionale. Sono anche attività informali di lavoratori dipendenti in part-time involontario, disoccupati in Cassa integrazione, in mobilità o senza sostegno al reddito.
In altri termini, analisi differenziata vuol dire rilevare che in Italia, come in tanti altri Paesi dell’Unione europea, l’evasione fiscale è stata una forma arbitraria, costosa e inefficiente, politicamente facile e ben remunerata elettoralmente, di ammortizzazione sociale e di sostegno alla produzione. Infine, analisi differenziata, vuol dire capire che, per contrastare l’evasione di sopravvivenza, in un territorio fiscale abitato da 40 milioni di contribuenti effettivi e potenziali la Guardia di Finanza o l'Agenzia delle Entrate sono inadeguate per disponibilità di mezzi e che la deterrenza attraverso le sanzioni è un’arma spuntata.
Allora che fare? Rassegnarsi? Ammiccare comprensivi? Elogiare la furbizia italica? No! La risposta è mettere in campo gli strumenti adeguati. Quali? Le riforme e le politiche industriali e di welfare per rimuovere le cause della patologia: dalla riqualificazione delle pubbliche amministrazioni (inclusi i pagamenti in ritardo cronico verso le imprese) alla riduzione delle tasse sul reddito da lavoro e d’impresa grazie proprio al recupero di evasione; dal miglioramento delle infrastrutture alla riduzione dei costi dell'energia; dalla regolazione concorrenziale dei mercati dei servizi assicurativi e bancari per ridurne i prezzi alle semplificazioni fiscali e amministrative; dagli interventi per la crescita dimensionale e le reti di impresa al sostegno alla ricerca e all’innovazione per innalzare la specializzazione produttiva italiana. Fino alla previsione di strumenti di ammortizzazione sociale verso quelle attività economiche marginali che potrebbero risultare economicamente non sostenibili una volta rimosso il sostegno implicito rappresentato dall'evasione.
Un esempio di riforma per contrastare l’evasione di sopravvivenza è stato il cosiddetto “forfettone”, introdotto sotto la regia dell’ex ministro Visco nel 2007. In sintesi, per i contribuenti con un fatturato inferiore ai 30.000 euro all’anno (circa un milione), fu introdotta la possibilità di scegliere un regime iper-semplificato, caratterizzato da un’imposta forfettaria del 20% sul reddito di cassa, in alternativa a Irpef - studio di settore, Iva e Irap. Il forfettone consentiva ai “contribuenti minimi” di essere in regola con il fisco con un esborso spesso inferiore ai costi sostenuti per il commercialista nel regime ordinario e con un saldo positivo per il bilancio pubblico. Il regime, benché opzionale, ebbe notevole adesione. Purtroppo, dopo la caduta del Governo Prodi nel 2008, il forfettone fu sostanzialmente abrogato. Oggi, il Governo Letta, in attuazione della Legge di delega per la riforma del fisco, intende riproporlo in un formato innovato e differenziato.
Insomma, consapevole di camminare su un sentiero stretto e scivoloso, esposto agli assalti strumentali da destra e sinistra, ho tentato di riconoscere i dati di realtà per avvicinare gli obiettivi di civiltà. Mi spiace che, chi ha un'elevata sensibilità sociale come certamente l'autore dell'articolo, consideri l'attenzione verso chi davvero non ce la fa un cedimento populista. E confesso, invece, che mi hanno colpito nelle centinaia di email arrivatemi in questi giorni le parole di chi sente come una ferita alla propria dignità di cittadino il ricorso forzoso all’evasione. Forse, tanti italiani, certo non tutti, vorrebbero essere meno furbi di quanto imputato ai loro comportamenti.
In conclusione, la lotta all'evasione fiscale va fatta senza incertezze o ambiguità. Ma con strumenti adeguati. Altrimenti, tra vent'anni continueremo a lamentarci dell'eccezionale evasione italiana e del nostro scarso senso civico.
Stefano Fassina
(vice ministro dell'Economia e delle Finanze)