di Federico Biacchessi
Era lo scontro che Donald Trump aspettava da tempo: un faccia a faccia con uno dei suoi avversari politici più dichiarati, il governatore della California Gavin Newsom, nel cuore dello stato più ostile al trumpismo. Il terreno di battaglia è quello che più galvanizza la base dell’ex presidente: l’immigrazione. Domenica, dopo giorni di tensioni seguite a un’irruzione dell’ICE – l’agenzia federale per l’immigrazione – nel distretto dell’abbigliamento di Los Angeles, Trump ha ordinato il dispiegamento di almeno 2.000 membri della Guardia Nazionale senza consultare né ricevere richiesta dalle autorità locali. Un atto di forza che non si vedeva dal 1965, quando Lyndon Johnson mobilitò la Guardia per proteggere i manifestanti per i diritti civili in Alabama.
Ma oggi il contesto è rovesciato. «Los Angeles è invasa da mob violenti e insurrezionalisti», ha tuonato Trump sui social. «Libereremo la città dall’invasione dei migranti». Il linguaggio è da guerra interna. E la tensione, di fatto, è alle stelle. Il presidente ha evocato l’uso della forza, lasciando intendere che potrebbe persino ricorrere all’Insurrection Act, la legge del 1807 che autorizza l’uso delle truppe sul suolo americano in caso di ribellione. «Avremo truppe ovunque», ha detto ai giornalisti, mentre si dirigeva a Camp David. «Nessuno sputerà sui nostri militari. Se succede, verranno colpiti duramente». Il braccio destro Stephen Miller ha rincarato la dose: «È una battaglia per salvare la civiltà». Un’escalation verbale che, secondo molti osservatori, punta a radicalizzare lo scontro in vista della corsa elettorale del 2024.
Ma per il governatore Newsom, da tempo nel mirino della retorica trumpiana (che lo ha ribattezzato “Newscum”), si tratta di un attacco deliberato contro lo stato e i suoi cittadini. «Ce lo aspettavamo», ha dichiarato. «Per loro avere successo significa che la California deve fallire».Il governatore ha inviato una lettera formale al segretario alla Difesa Pete Hegseth chiedendo il ritiro immediato della Guardia Nazionale. «Le azioni federali stanno solo peggiorando la situazione», ha scritto. Ma la Casa Bianca non sembra intenzionata a fare marcia indietro. Nel frattempo, le proteste – inizialmente circoscritte – si sono estese. In città si registrano scontri a macchia di leopardo. Video condivisi dai canali pro-Trump mostrano alcuni manifestanti aggredire agenti federali, mentre gli attivisti accusano il governo di strumentalizzare pochi episodi isolati per giustificare una repressione su larga scala. La portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt parla di «criminali illegali e mob violenti che attaccano le forze dell’ordine».
La narrazione trumpiana, però, ignora volutamente le molte manifestazioni pacifiche, in cui cittadini e famiglie protestano contro le deportazioni di massa e l’arresto indiscriminato di lavoratori migranti. A far infuriare i falchi della destra, anche le bandiere di El Salvador e Messico sventolate durante i cortei: per loro, simboli di una «invasione straniera». La reazione democratica è netta. Il senatore Alex Padilla accusa Trump di «creare una crisi per poi inscenare teatrini crudeli a fini politici». E aggiunge: «A Los Angeles le persone difendono diritti fondamentali, come il giusto processo e la dignità umana». I repubblicani, invece, fanno quadrato. Il deputato Kevin Kiley difende l’intervento, attribuendo le tensioni «alle scelte irresponsabili dei leader democratici californiani e alle politiche di frontiere aperte dell’amministrazione Biden». Intanto, da Washington arrivano segnali di un possibile ulteriore inasprimento. Tom Homan, “czar” della sicurezza di confine per Trump, ha dichiarato che l’amministrazione è pronta ad arrestare chiunque ostacoli le operazioni migratorie, compresi funzionari pubblici. Un avvertimento che suona come minaccia istituzionale. Lo scontro tra Trump e la California è diventato il simbolo di una nazione sempre più polarizzata, in cui immigrazione, legalità e autorità federale tornano a essere terreno di scontro ideologico e politico. E dove le città, come Los Angeles, rischiano di diventare teatri di una nuova guerra civile a bassa intensità.