Un post come tanti, nato per denunciare lo stato trascurato dei marciapiedi in una zona centrale di Lecco, è diventato in pochi giorni un caso nazionale che ha travolto Alessandra Durante, assessora alla Famiglia, Giovani e Educazione digitale della città, in quota lista civica Fattore Lecco della giunta di centrosinistra del capoluogo lombardo - 

I fatti. Il 28 giugno un cittadino pubblica nel gruppo chiuso Facebook “Lecco. Società e Politica” – comunità virtuale da 2.296 membri – alcune foto che mostravano la pavimentazione sconnessa nella zona di Largo Montenero, in netto contrasto con le aiuole curate e fiorite. «Una scelta estetica che ignora una criticità ben più urgente», scriveva l’autore, con tono amaro ma civile.

I commenti al post si sono moltiplicati rapidamente, tra chi condivideva la denuncia e chi la riteneva inutile polemica. Tra questi, spiccava l’intervento di un certo “Anonimo582” - una modalità che il social di Mark Zuckemberg consente a chi è iscritto e non vuole far trapelare la sua identità, previo nulla osta da parte degli amministratori, che in questo caso le hanno concesso il benestare . Anonimo 582 consigliava al cittadino di utilizzare la piattaforma Urban Click del Comune per segnalare il problema, aggiungendo poi: «Vedrà che la sua esistenza sarà più utile così rispetto a disseminare Facebook di post dal tono costantemente polemico che ci tocca leggere da anni su questo gruppo. Se ha delle fatiche, se ne prenda cura senza rivolgerle sugli altri».

Parole dure, seguite da altri interventi sempre firmati “Anonimo582”, in cui il gruppo Facebook veniva definito un “vomitatoio di pensieri e opinioni personali”, e l’autore della segnalazione accusato di “prendere per idioti i cittadini”. Un tono sferzante e sarcastico, che poco si addice a un dibattito pubblico civile.

Ma il vero colpo di scena è arrivato il giorno successivo. Uno degli amministratori del gruppo ha rivelato l’identità dietro il nickname: si trattava di Alessandra Durante, assessora comunale, con deleghe proprio su educazione digitale e comunicazione.



Una rivelazione controversa, perché la piattaforma consente ai membri di pubblicare commenti in forma anonima, ma gli amministratori possono comunque visualizzare la vera identità. Ciò che non possono fare però, è divulgare quei dati senza consenso.

Nelle ore successive, la polemica è deflagrata. In una lettera aperta ad un quotidiano online di Lecco, lo stesso amministtatore del gruppo ha accusato l’assessora di aver usato insulti e offese personali, arrivando a definire il cittadino “ritardato”, “frustrato”, “analfabeta”. Tuttavia, scorrendo i commenti effettivamente scritti da Durante, emerge che questi termini non sono stati usati esplicitamente, sebbene i toni siano stati indubbiamente aggressivi e sgradevoli.

Il caso ha presto assunto una dimensione politica. Il centrodestra lecchese – Fratelli d’Italia, Lega e la lista civica Lecco Ideale – ha accusato l’assessora di ipocrisia, sottolineando come, a meno di due settimane da un evento pubblico contro il cyberbullismo, proprio lei si fosse abbandonata a un comportamento che “ricalca i meccanismi di odio e aggressività tipici della rete”.

La replica della diretta interessata non si è fatta attendere. Con tre storie pubblicate su Instagram, Durante ha ammesso le proprie responsabilità e chiesto scusa: «È doveroso che io faccia scuse pubbliche nei confronti di un cittadino a cui ho risposto in maniera molto prepotente e maleducata, scendendo anche sul personale e facendolo in anonimato. Non porto nessuna giustificazione».

L’assessora ha poi aggiunto: «Chiedo scusa anche a tutti i cittadini che da tempo lavorano con me o seguono il lavoro che stiamo facendo sul digitale, perché sono caduta esattamente in quei comportamenti che invece analizziamo come da limitare o da eliminare proprio dall'arena social».

Infine, il 4 luglio, le dimissioni. Il sindaco Mauro Gattinoni le ha ratificate, chiarendo tuttavia che non è stata una questione di “cyberbullismo istituzionale”: «Non ho accettato le dimissioni perché Alessandra Durante è una hater o una bulla, ma perché la campagna denigratoria mediatica (shitstorm, nel linguaggio dei social ndr) è stata inqualificabile per i cittadini e per la stampa che non ha verificato le parole effettivamente usate». Il primo cittadino ha riconosciuto il lavoro svolto dall’assessora negli ultimi cinque anni, elogiandone la scelta “meritoria” di non sporgere denuncia nonostante le violazioni subite.


Il sindaco di Lecco accetta le dimissione dell'assessora, ma spiega perché non sarebbe una bulla social


Il parere del giurista Ruben Razzante: “Grave violazione della privacy, ma i politici devono metterci la faccia”

Per capire la complessità legale e culturale del caso abbiamo raccolto il commento del professor Ruben Razzante, docente di Diritto dell’informazione all’Università Cattolica e tra i massimi esperti  italiani di media e privacy e autore del manuale di diritto dell’informazione e della comunicazione (edizione Wolters Kluwer)

Professor Razzante, partiamo dalle regole: cosa possono e cosa non possono fare gli amministratori dei gruppi social chiusi?

«Gli amministratori possono concedere ai membri di questi gruppi di scrivere contenuti in forma anonima, cioè fare commenti come membri anonimi. Possono anche, in qualunque momento, revocare questa possibilità. Quello che non possono fare, invece, è rivelare l'identità di questi membri che hanno scelto di non essere identificati con nome e cognome, un diritto previsto dalla policy di questi gruppi privati».

Quindi nel caso di Lecco c’è stata una violazione?

«Assolutamente sì. Consentire a qualcuno di esprimersi come membro anonimo e poi rivelare la sua identità è una violazione della privacy. Gli amministratori avevano il dovere, eventualmente, di cancellare quei messaggi se li ritenevano offensivi, ma non di sbandierare ai quattro venti l’identità della persona».

E per quanto riguarda la responsabilità dell’assessora?

«Da un punto di vista strettamente di opportunità, è evidente che un rappresentante della cosa pubblica, soprattutto se si occupa di educazione digitale, non può nascondersi dietro l'anonimato. Deve avere il coraggio di esprimere le proprie opinioni e assumersene la responsabilità. Quindi l’assessora avrebbe potuto e dovuto palesarsi nelle sue dichiarazioni».

Si è parlato anche di diffamazione. Come stanno le cose?

«L’articolo 595 del Codice penale è molto chiaro nell'applicare anche all'uso dei social l’aggravante del mezzo di pubblicità per le offese all’onore e alla reputazione. Se ci fossero state frasi diffamatorie nei commenti, l’autore – in questo caso l’assessora – avrebbe potuto essere denunciato. Ma la questione è più complessa».

In che senso?

«Se, come sembra, alcune espressioni pesanti attribuite all’assessora nella lettera dell’amministratore del gruppo non sono state effettivamente pronunciate da lei, allora è l’assessora che potrebbe rivalersi. Potrebbe tranquillamente denunciare, ai sensi dell'articolo 595, l'amministratore della pagina per averle attribuito parole mai dette e averne danneggiato l'immagine».

Il caso ha anche evidenziato un cortocircuito mediatico…

«Purtroppo sì. Il giornalismo, oggi, rincorre il sensazionalismo. I giornalisti che hanno raccontato la vicenda si sono fermati allo sfogo dell’amministratore del gruppo, senza verificare accuratamente i contenuti. Questo ha alimentato una tempesta mediatica su basi in parte infondate».

Un episodio che diventa lezione

Il caso di Lecco non è solo una querelle locale, ma un esempio emblematico delle contraddizioni dell’arena digitale, dove l’aggressività verbale si mescola spesso all’imprudenza, e la privacy può essere violata in nome di una presunta trasparenza. La scelta dell’assessora Durante di fare un passo indietro senza appellarsi alle vie legali, e quella del sindaco Gattinoni di distinguere tra errore umano e gogna pubblica, aprono uno spiraglio di riflessione: in rete serve più educazione, ma anche più responsabilità da parte di chi gestisce e amministra gli spazi virtuali.

Perché, come ricorda lo stesso Razzante, «la libertà di espressione è sacrosanta, ma non può essere disgiunta dal rispetto delle regole e della dignità di ciascuno».

 

 

Foto di copertina © Facebook, intervento sui canali social dell'assessora Alessandra Durante