Rio de Janeiro

No, non è un caso che martedì sera, nello scenario magico della spiaggia di Copacabana, Dom Orani João Tempesta, l’arcivescovo di Rio de Janeiro, si sia rivolto all’inizio della messa che ha aperto la Giornata mondiale della gioventù 2013 ai tossicodipendenti, invitandoli a seguire la parola di Dio la cui casa è anche la loro, ha detto.

Quello della droga, infatti, per il Brasile si è trasformato, soprattutto negli ultimi anni, in una vera e propria emergenza sociale. Per rendersene conto è sufficiente guardare i numeri statistici. Secondo l’Università di San Paolo, la USP, che ha fatto una minuziosa ricerca sul tema, negli ultimi 12 mesi il Brasile ha superato gli Stati Uniti ed oggi è il Paese con al mondo più tossicodipendenti da crack, la terribile “pedra” come la chiamano qui, la droga più micidiale che in un attimo ti rovina il cervello e il corpo, un derivato della cocaina con l’aggiunta di sostanze chimiche.

Il crack crea un’assuefazione immediata grazie ad una sensazione che, assicura Roger, un dipendente steso a terra a pochi metri da Casa Italia, il punto di ritrovo dei pellegrini italiani a Rio, «dà eccitazione, ma solo la prima volta. Dura pochi secondi. Poi non si ripete più ma tu, oramai, sei schiavo. Continui a fumare, io sono arrivato a fumare sino a 30 pietre di crack al giorno».

Per le statistiche ufficiali oggi i brasiliani che fumano crack sono circa 1,2 milioni, il che significa che oltre un cittadino verde-oro ogni 200 è dipendente da questa droga. Una vera e propria strage sociale che non a caso ha portato la presidente del Brasile Dilma Rousseff a promettere all’inizio del suo mandato di «lottare contro il crack con ogni forza come fosse una guerra».

I finanziamenti per la “guerra al crack” del Brasile hanno già superato i quattro miliardi di reais, circa 1,8 miliardi di euro. In programma c’è la costruzione di oltre 300 complessi di cura in tutto il Paese, anche in quello più periferico dell’Acre, lo stato ai confini con la Bolivia, o del Nordest, dove il crack si sta diffondendo a macchia d’olio, portandosi via un’intera generazione.

Ma la droga oggi in Brasile non è solo un problema di consumatori, come giustamente sottolineato da Dom Orani ieri, ma anche di economia e di business. Secondo l’ultimo rapporto sulle droghe e la criminalità dell’Onu pubblicato a fine giugno, infatti, il gigante sudamericano è attualmente anche il primo esportatore di cocaina al mondo. Davanti alla Colombia, quasi raggiunta e superata a sua volta dall’Argentina, altro paese dove sono in molti a pesare i dollari frutto dell’export di coca, invece di contarli.

Non deve stupire insomma che Roberto Pannunzi, il più grande broker di cocaina del mondo catturato lo scorso 6 luglio a Bogotá, Colombia, dopo la sua ultima evasione del 2010 se ne fosse scappato via nave in Brasile. La terra del calcio, del Carnevale, del samba, oggi della Gmg ma, da almeno vent’anni, anche la seconda patria della ‘ndrangheta, della mafia siciliana e della camorra.

Tommaso Buscetta, l’uomo che rivelò per primo la struttura di Cosa Nostra, fu arrestato ad esempio a San Paolo nel 1981, lo “svanimento/omicidio” del boss camorrista Antonio Bardellino – non uno qualsiasi, il fondatore dei Casalesi – sarebbe avvenuto nel 1988 a Buzios, sorta di Portofino brasileira, anche se il suo corpo non si è mai trovato. Un corpo quasi senza vita è invece quello di Roger che, a pochi passi da Casa Italia, chiede spiccioli ai passanti per comprarsi la droga.

Martedì sera dormiva e non ha potuto ascoltare l’invito di Dom Orani ma la speranza è che, presto, possa essere aiutato dalle strutture dello stato come promesso dalla presidente Dilma in quella che oggi è la sua “guerra” più difficile. Una “guerra” che si propone di salvare 1,2 milioni di brasiliani che si stanno suicidando, ogni giorno, con la “pedra” di crack. Un killer spietato che costa 2 reais, poco più di 50 cent di euro.