Carissimi lettori, negli ultimi anni la crisi economica si è abbattuta su tutti i comparti dell’economia e l’editoria è stata colpita più di altri settori. Oltre vent’anni fa la situazione economica era florida e gli editori hanno voluto dividere con i dipendenti il benessere dell’epoca. Questo ha portato a un contratto di lavoro che prevede, per i giornalisti, oltre alle 13 mensilità, una indennità redazionale pari a mezza mensilità, quaranta giorni di ferie e permessi (quasi il doppio di quelli che godono tutte le altre categorie di lavoratori), un sistema di scatti di anzianità che in circa un ventennio ha portato al raddoppio della retribuzione, un sistema pensionistico molto favorevole, oltre a un’ampia serie di agevolazioni retributive.

La Periodici San Paolo, a seguito di contrattazione, aveva concesso, oltre alle suddette retribuzioni contrattuali, due mensilità (ora presenti in busta paga sotto la voce «accordi aziendali»), uno straordinario forfettizzato con il numero massimo accettabile di ore previsto dal contratto di lavoro nazionale (che corrisponde ad altre due mensilità), e una serie di premi, tra cui quelli legati alle attività fatte per le altre testate del Gruppo e per internet (con il valore di una ulteriore mensilità).

Negli ultimi anni la contrattazione nazionale ha preso coscienza della situazione di crisi e ha cominciato a ridurre tali benefici economici. Nel nostro caso ciò ha comportato che gli ultimi cinque giornalisti assunti ne hanno potuto godere solo in parte.

Lasciando alla contrattazione nazionale ciò che è di sua competenza, abbiamo chiesto ai giornalisti di ridurre della metà solo gli importi degli integrativi aziendali (vale a dire delle mensilità aggiuntive e non delle 13 mensilità, oltre alla indennità redazionale, previste dal contratto nazionale). Proprio perché riteniamo che i benefici economici debbano essere correlati all’andamento dell’azienda, che opera nel difficile settore editoriale. In questo contesto, anche l’Editore farà la sua parte per colmare il fabbisogno complessivo, così come ha fatto in modo significativo fino ad oggi.

Siamo consapevoli che ridurre i costi non è sufficiente, ma che è necessario sviluppare i ricavi. Per questo, una volta terminato il rinnovamento dei prodotti esistenti, ci stiamo preparando a lanciare nuovi progetti. Alcuni li abbiamo già avviati negli ultimi mesi, come il rinnovo della storica testata Vita pastorale. Abbiamo proposto di coinvolgere in queste iniziative tutto il personale giornalistico chiedendo loro di essere insieme a noi agenti di cambiamento. Ma è difficile poter varare questi progetti nel clima che si è creato.

Fino alla scorsa settimana, tuttavia, sembrava che, seppur faticosamente, dopo mesi di incontri e dialogo, si cominciasse a intravedere un percorso comune per arrivare a un’intesa. Per questo avevamo fissato due ulteriori incontri, uno in sede aziendale e uno in sede nazionale. All’improvviso, però, è stato proclamato uno sciopero. Si tratta di uno strumento legittimo in mano ai lavoratori, ma perché indirlo alla vigilia dei due incontri già fissati e proprio nel giorno in cui era prevista la Messa natalizia presieduta dall’Arcivescovo di Milano? Solo per avere maggiore visibilità? Ci è sembrata una strumentalizzazione di quanto c’è di più sacro per noi cristiani. L’assemblea dei giornalisti si dice preoccupata per il futuro delle nostre testate, ma il danno arrecato da questo sciopero che giovamento porta? L’idea che è passata in molte persone, che hanno scritto o telefonato al nostro Ufficio abbonamenti, è che le nostre riviste stanno per chiudere. Non è vero affatto. Alcuni investitori, inoltre, si stanno ritirando a causa dell’immagine negativa che si sono fatti del nostro Gruppo editoriale. Ripetiamo: l’atteggiamento assunto giova veramente al futuro degli stessi giornalisti e degli altri dipendenti?

L’azienda, in ogni caso, resta aperta al dialogo e auspica che si raggiunga un’intesa.